LA PRIMAVERA HITLERIANA
Né quella ch’a veder lo sol si gira…
Dante (?) a Giovanni Quirini
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a san Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell’avvenire) e gli eliotropo nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio…
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi
fino a che il cieco sole in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
Eugenio Montale
Nella poesia “La primavera hitleriana”, Eugenio Montale denuncia l’insensatezza della guerra, il peso delle responsabilità individuali e annuncia simbolicamente la possibilità di un riscatto dalla storia, con un futuro luminoso.
“La primavera hitleriana”, inserita nella raccolta “La bufera ed altro”, viene scritta in due fasi a ridosso della guerra: nel 1939 e nel 1946. Fu pubblicata per la prima volta sulla rivista fiorentina “Inventario” nel biennio 1946-47.
La condanna del nazifascismo è esplicita, a seguire anche la condanna dell’accoglienza che fiorentini, gerarchi, autorità cittadine riservarono al Fürher. L’occasione del componimento, infatti, è la visita di Hitler nel capoluogo toscano il 9 maggio 1938, presentata come profanazione della civiltà, di cui Firenze è storicamente la culla. Clizia compare come figura salvifica per l’umanità, all’alba di una nuova epoca in cui c’è spazio per la speranza.
Il lettore è accolto da un incipit sinistro, realistico e simbolico, in cui la natura sembra anticipare il gelo della morte imminente. Bianche farfalle notturne prima sciamano di giorno, come impazzite, poi, attirate dalla potente luce dei fari sul Lungarno, si confondono e si schiantano al suolo. Così a terra si forma uno strato di farfalle morte, in un clima invernale che stride con l’estate alle porte. La scena simboleggia la catastrofe della guerra imminente e l’irrazionalità del momento storico, come si evince nella strofa successiva. Qualcuno avanza una metafora atmosferica con la caduta di fiocchi di neve o bellica con il sacrificio di vite umane.
Il fatto è storico: la visita di Hitler a Firenze nel maggio del 1938, con l’invito al Teatro Comunale in pompa magna per assistere in compagnia di Mussolini ad uno spettacolo con le musiche di “Simon Boccanegra” di Verdi. I negozi vengono chiusi perché è un giorno di festa. Nessuno si oppone con un’acquiescenza che Montale stigmatizza così: “sagra di miti carnefici”. Con un ossimoro potente, negativo come il campo semantico riguardante i due dittatori, chiamati “mostri”. Aggiungo che il lifting del centro storico di Firenze, con annessi e connessi, per la visita di Hitler costò circa 20 milioni di lire nel 1938 (!) Secondo Montale in questo frangente nessuno è senza colpa, vuoi per buona fede, per fede politica o per ignoranza: tutti hanno la loro parte di responsabilità.
Montale, nella terza strofa, si riferisce a quando ha assistito insieme ad Irma Brandeis ai fuochi d’artificio il giorno di san Giovanni, patrono di Firenze: quando si sono scambiati pegni e promesse prima dell’addio e quando la luce dei fuochi sembrava promettere un futuro positivo. E Clizia, chiamata con il senhal di eliotropo (girasole) sulla scia del IV libro delle Metamorfosi ovidiane, non si girerà più a vedere il sole? La donna-angelo salvifica, continua nella strofa seguente, non porterà la salvezza per tutti? Insieme agli angeli che presentano al Signore i meriti umani?
Clizia può svolgere una funzione salvifica per l’intera umanità, in quanto simbolo di poesia e civiltà. Non a caso, i puntini di sospensione in chiusura marcano un possibile riscatto futuro, presentato in termini collettivi. La morte riguarda anche il nazifascismo che tra poco condurrà alla catastrofe. Ogni riferimento religioso ha un’incidenza etica, non teologica.
La primavera hitleriana è un ossimoro, non una primavera che porta vita, ma una primavera che porta morte.
L’ultima esclamazione “Oh la piagata primavera è pur festa se raggela in morte questa morte!” esprime una nuova speranza, perché la fredda primavera può uccidere la morte che il “messo infernale” porta con sé. Clizia, custode fedele dell’amore, può resistere e salvare tutti; è l’antica donna angelo, portatrice di salvezza, che rinasce. Forse il suono delle sirene che salutavano i mostri di quella orrenda sera era già il suono vittorioso che annunciava l’alba di un giorno pieno di vita per tutti.
Clizia è Irma Brandeis, l’italianista americana ebrea, conosciuta a Firenze nel 1933, con cui Montale ebbe una relazione fino all’estate del 1938, quando la donna ritornò in America per sfuggire alle persecuzioni fasciste.
Il verso in epigrafe e il verso 34 della poesia sono ripresi da un sonetto, attribuito a Dante, in cui si fa riferimento al racconto di Ovidio.
Metrica della poesia
La poesia è formata da quattro strofe di varia ampiezza, composte da versi liberi lunghi, fino a 18 sillabe, tra cui spicca l’endecasillabo. Su un totale di 43 versi le rime sono quasi assenti, eccetto morte-sorte, che non ha bisogno di commenti. Più frequenti assonanze e consonanze.
“La primavera hitleriana”: lingua e stile
“La primavera hitleriana” è una poesia piuttosto complessa, a partire da parafrasi e lessico fino al simbolismo da decodificare. La cifra distintiva è l’alternanza tra registri alti e bassi ovvero:
costruzioni sintattiche complesse (vv. 20-30) e pensieri brevi di facile comprensione (vv. 10-15);
termini biblici come “gli angeli di Tobia” e tecnicismi come “golfo mistico” indicante la zona del teatro riservata all’orchestra, chiamata in gergo ‘buca’. Del linguaggio settoriale o regionale segnalo: “beccaio” (in fiorentino è il macellaio); “trescone” (una danza); “tregenda” (convegno di demoni); “golene” (argini del fiume) e “sinibbio” (un vento pungente con neve e nevischio).
La raccolta “La Bufera e altro” di Montale
La bufera e altro del 1956 raccoglie testi scritti in un quindicennio intenso e drammatico per Montale cittadino, intellettuale e uomo: quello compreso tra il 1940 e il 1954. Il pensiero del lettore corre inevitabilmente al Secondo Conflitto, la bufera del titolo.
La domanda è: a cosa rimanda il generico e altro?
Alla morte della madre, la malattia della moglie Drusilla Tanzi, detta Mosca, che sposerà un anno prima della morte. Il rientro negli Stati Uniti di Irma Brandeis, poeticamente trasfigurata in Clizia, a fronte del macigno delle leggi razziali nel nostro Paese. L’impatto negativo con la società di massa. Gli interrogativi sul senso e la sopravvivenza della poesia. L’entusiasmo e le incognite politiche dell’immediato Secondo dopoguerra. Il complesso sodalizio con la poetessa Spaziani, chiamata Volpe.
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