In un tempo lontano, quando gli uomini convivevano pacificamente tra loro e con la natura e gli animali che li circondavano, i prati erano bellissimi, pieni di fiori graziosi e profumati; ce n’era uno speciale però, molto più bello degli altri, con petali tutti colorati e un odore di buono che infondeva gioia e pace. Tutti, ma proprio tutti, quelli che passavano per il prato dove era il bel fiore, non potevano fare a meno di fermarsi ad ammirarlo. Alcuni ci andavano apposta per vederlo e sembrava che il fiore si cibasse di quegli sguardi curiosi ed ammirati, così come la gente sembrava rinascesse a quella bellezza armoniosa fuori dal comune. Così quel fiore viveva ammirato da tutta la gente nel suo bel prato, inconsapevole quest’ultima che fosse proprio quella mirabile creatura floreale ad ispirare la gioia, l’amore e la pace fra tutti, fonte di un impeccabile condotta. La bellezza e la purezza di quel fiore erano capaci di destare i sentimenti più autentici e benevoli nelle persone che ne contemplavano l’immagine limpida e soave, come una sinfonia di profumi e di colori che allieta il cuore e fa vibrare l’anima. Un giorno, però, un uomo si era stancato solo di ammirare il bel fiore; per di più gli toccava fare un bel cammino prima di arrivare a quel bel prato. In lui si stava facendo strada l’idea malsana di voler possedere il fiore, così da poterlo ammirare ogni volta che volesse; tenere il fiore tutto per sé significava privare gli altri di una tale gioia per gli occhi e tutti gli altri sensi…e cosa sarebbe stato di quei dolci e delicati sentimenti che provava la gente nel guardarlo? Queste domande l’uomo non si pose; molto spesso, la storia ce lo insegna, purtroppo si agisce senza pensare alle conseguenze. L’uomo era ormai preso da un sentimento sì forte di egoismo, che era comprensibile che mai gli avesse potuto neanche balenare nella testa neanche la benché minima preoccupazione circa la bontà della condivisione del prodigioso fiore. A quel punto, l’uomo si decise una volta per tutte: andò di notte nel prato, di nascosto come un ladro per non farsi vedere dagli altri, si avvicinò all’amabile fiore, e cominciò a scavare la terra intorno per poter estirpare il fiore fin dalle radici. Infilò il tutto nella sua sacca e corse a casa. Arrivato a casa, tosto preparò un vaso pieno di terriccio, accuratamente prese il fiore riposto nella sacca e con delicatezza lo piantò nel vaso. Ora beato poteva ammirare il fiore a suo piacimento, inspiegabilmente felice di essere il solo a poterlo fare. Non ci volle molto prima che la gente si accorgesse che il fiore era misteriosamente scomparso. La tristezza inondò l’intero paese, come uno tsunami che non dà scampo né preavviso. E la gente triste si sa, non combina nulla di buono; anzi, cominciarono da quel momento le inimicizie, le invidie, i litigi, le maldicenze e tutto quanto di più deplorevole esista per rendere una sana e pacifica convivenza, un vero e proprio inferno. Che fosse stata la scomparsa di quel fiore a cagionare così tanto dolore? L’uomo reo che sapeva, adesso l’interrogativo se lo poneva; in cuor suo la risposta tuonava come una sentenza senza appello; rubandolo, aveva privato le persone della gioia che scuote il cuore, che permette a quei valori di riuscire a venir fuori. L’ altruismo, la bontà, la solidarietà, la condivisione, la disponibilità, la generosità, albergano nell’uomo ma fanno fatica a venir fuori; la natura previgente a quel fiore aveva assegnato questo compito…ed ora? Ora che lo sciagurato si era finalmente posto le dovute domande, oltretutto riuscendo anche a darsi le plausibili risposte, cosa mai rimaneva da fare per porre rimedio al disastro procurato dal suo comportamento scellerato? Allora una notte egli prese con sé il vaso e andò fino a quel prato dove un tempo il fiore giaceva indisturbato; scavò con cura e vi ripianto il fiore pieno di premura. La sua speranza era una sola: che con quel gesto tutto si fosse sistemato per il meglio e la vita delle persone potesse ritornare a essere amorevole e gioiosa come prima. L’indomani, tutti si accorsero naturalmente del ritorno incomprensibile del fiore, ma si accorsero anche che accanto ad esso era spuntato un fungo che ne offuscava la bellezza. Ormai la sua visione era compromessa, non suscitava più quella gaudiosa beatitudine che al meglio li spronava tutti. Come era possibile ciò? E soprattutto, da dove spuntava quel fungo, qual era la sua provenienza e la sua natura? Queste e tante altre erano le domande che si facevano tutti, ma più di ognuno se le faceva l’uomo, che tanto aveva sperato di aver sistemato ogni cosa. Ritrovatosi solo nel prato, pensieroso e tutto assorto, una voce misteriosa e sibilante lo richiama all’attenzione; era il fiore che provava a spiegargli, tra la sua incredulità, cosa fosse stato a cambiar la situazione: “Vedi caro amico, io rappresento tutto quello che di bello esiste e riuscivo a infonderlo e destarlo anche in tutte le persone. Tu mi hai voluto per te sottraendomi a tutti gli altri. In questo modo hai causato la fine di un giubilo provvidenziale, e quando poi hai capito la tua leggerezza e ti sei pentito, era troppo tardi. Mi hai riportato, è vero, nel mio bel prato per poter essere di nuovo sotto gli occhi di tutti, ma il mio prato, la mia terra, quella che mi nutre e mi preserva, grazie a te ha conosciuto l’odioso fungo dell’egoismo, con il quale ora mi tocca condividere la casa.” L’uomo triste più che mai, si chiedeva se ormai non fosse giunta la fine di ogni cosa, e il fiore accortosi di questi suoi nefasti pensieri, di nuovo replicò:” Non pensare che è finita, amico mio! Il fungo ormai è qui, è vero, ma come ti dicevo mi tocca conviverci; ma io non sono morto, vivo ancora, e se tu insieme a tutti gli altri terrete quel fungaccio sotto controllo combattendolo ogni giorno, può darsi che le cose andranno meglio, magari non come prima, non sempre, specialmente se qualche giorno vi dimenticherete di contrastare il fungo; abbi fiducia, quindi e porta il mio messaggio a tutti quanti.” L’uomo non se lo fece ripetere due volte, andò da tutta l’altra gente, confessò a malincuore il suo misfatto, spiegando il suo ravvedimento e la nascita del fungo. Poi continuò raccontando quello che gli aveva detto il fiore e quale fosse l’unica soluzione da esso stesso suggerita. L’uomo fu perdonato e tutto andò come il fiore disse, alternandosi i periodi vigili, in cui il fungo sotto controllo lasciava il fiore primeggiare, a quelli distratti, in cui il fungo incontrastato prendeva il sopravvento. Comunque quel giorno in quel bel prato, accanto al fiore di “ogni bene” infastidito dal fungo dell’”egoismo”, germogliò la piantina della “speranza”.
Cinzia Perrone
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