John Priestley, romanziere e drammaturgo inglese, una volta affermò: «Pensare che il calcio siano solo 22 mercenari che tirano calci a un pallone è come dire che un violino è solo legno e budella di gatto, e che l’Amleto è solo carta e inchiostro. Il calcio è scontro e arte». Questa riflessione sottolinea la profondità e la complessità del calcio, che va oltre la semplice competizione sportiva.
Desmond Morris, zoologo ed etologo, ha esplorato questa dimensione nel suo libro La tribù del calcio, dove analizza come il calcio rifletta rituali tribali fondamentali per l’umanità. Secondo Morris, il calcio incarna l’evoluzione dell’uomo da cacciatore a calciatore, mantenendo vive le dinamiche di gruppo, la competizione e l’identità tribale .
Il calcio, dunque, non è solo uno sport, ma un linguaggio universale che unisce le persone, esprime emozioni e racconta storie. È un rito collettivo che riflette la nostra natura sociale e il nostro bisogno di appartenenza.
In un’epoca in cui le identità individuali possono sembrare frammentate, il calcio offre un senso di comunità e di scopo. Le tifoserie, con i loro cori, colori e tradizioni, rappresentano moderne tribù che trovano nel gioco una forma di espressione e di connessione.
In conclusione, il calcio è molto più di un semplice gioco: è un’arte, una cultura e una tribù che continua a evolversi, ma che rimane radicata nelle profondità della nostra natura umana.
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