La Pastiera napoletana è uno dei dolci più iconici della tradizione partenopea, immancabile soprattutto durante le festività pasquali. Ma pochi sanno che le prime tracce scritte di essa, la descrivono in modo diverso da come oggi la serviamo sulle nostre tavole.
La prima ricetta scritta della Pastiera, infatti, ci viene tramandata dal cuoco Antonio Latini, originario di Fabriano ma attivo a Napoli alla corte borbonica. Latini è noto per la sua monumentale opera gastronomica "Lo scalco alla moderna", pubblicata tra il 1692 e il 1694, considerata una delle prime testimonianze della cucina barocca italiana. In questa raccolta di ricette, che spaziano dal quotidiano all’elaborato, troviamo una preparazione che somiglia solo in parte alla moderna pastiera.
In questa ricetta non ci sono uova, il grano viene passato e setacciato, è una preparazione piuttosto rustica per la presenza del parmigiano, i pistacchi sono macerati in acqua di rosa Mosqueta, una qualità proveniente dal sud America, che, molto probabilmente, spiega perché nel tempo, fu sostituita con acqua millefiori o di fiori d’arancio. Non è prevista la pasta frolla, ma pasta di marzapane, non c’è allusione a ipotetiche strisce e vista la quantità degli ingredienti, era sicuramente una torta dai bordi abbastanza alti.
Questa Pastiera, compare anche in una piccola gemma della letteratura fiabesca dell’epoca. Viene infatti citata nella fiaba “La Gatta Cenerentola” di Giambattista Basile, contenuta nella raccolta "Lo cunto de li cunti", considerata la prima grande opera europea di fiabe. Zezolla, la protagonista, ritrova la preparazione culinaria tra i sontuosi banchetti del palazzo reale, dove la fanciulla si reca al gran ballo.
Basile, infatti, napoletano di nascita, dipinge un mondo fiabesco intrecciato con elementi della vita quotidiana e delle usanze popolari.
La Pastiera, è simbolo di rinascita, sia legata alla primavera che alla Pasqua: la sua composizione più moderna – a base di grano, ricotta, uova, zucchero, canditi e profumata con fiori d’arancio – è un inno alla fertilità e al rinnovamento. Alcuni storici ipotizzano che derivi da antichi riti pagani in onore della dea Cerere, in cui si offrivano dolci a base di grano e miele. Il cristianesimo avrebbe poi inglobato queste tradizioni, conferendo al dolce un nuovo significato pasquale.
Dall’aristocrazia borbonica alle tavole popolari, la Pastiera ha attraversato i secoli mantenendo intatto il suo fascino. Oggi rappresenta non solo un dolce, ma una narrazione culturale e identitaria che unisce storia, letteratura e tradizione gastronomica.
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