Il Vampiro aristocratico e seduttore

 




Da molti anni popolano libri, film serie tv, e chi più ne ha più ne metta. Come dimenticare i dolci Edward di Twilight e Stefan di The Vampire Diaries, oppure l’imperscrutabile Damon della stessa serie tv e di libri; per non parlare del crudele e senza scrupoli Lestat di Intervista col vampiro, interpretato sul grande schermo da un cadaverico Tom Cruise, sempre accompagnato da un esempio di vampiro più pacato come Louis, che è il protagonista dell’intervista in questione.

Questo è solo un accenno alle ultime storie che hanno visto i non morti come protagonisti indiscussi di un filone collaudato; ma dobbiamo fare un passo, anzi molti, indietro.

L’origine del vampiro affonda le radici nella notte dei tempi. I suoi primi lontani antenati sono i demoni assetati di sangue attestati nella tradizione culturale delle antiche civiltà, basti pensare a Lilith, demone babilonese dalle sembianze femminili che si nutre del sangue dei neonati, e alle Empuse, creature notturne della mitologia greca in grado di assumere l’aspetto di bellissime donne per sedurre i forestieri e cibarsi delle loro carni.

Ma il vampiro, come personaggio mostruoso di storie orride, era scalzato, se così si può dire, dai più temibili e famosi lupi mannari e streghe, protagonisti anche delle cronache dell’epoca a causa delle crudeli persecuzioni portate avanti dalla Santa Inquisizione in un’Europa prigioniera di fanatismi e superstizioni.

Verso la fine del ‘700, scemata la follia inquisitoria ai danni delle presunte fattucchiere, il vampiro guadagna terreno nel Pantheon dei mostri più rappresentati nell’arte. Il secolo dell’Illuminismo aveva preso a picconate secoli di oscurantismo religioso e di superstizioni, fornendo spiegazioni scientifiche a fenomeni in precedenza inspiegabili.

La figura del vampiro, anche detto Risurgente, sopravvive all’epurazione delle figure diaboliche, in quanto giudicata credibile alla luce delle ricerche anatomiche dell’epoca sui cadaveri e sul sangue. Furono addirittura i vampiri accusati di tramettere la peste con il loro morso; così si sviluppò una psicosi generale nei confronti dei succhia sangue.

Il fatto che un cadavere potesse apparire ancora roseo dopo la sepoltura, generava stupore e sospetto; in realtà oggi sappiamo che queste anomalie sono spiegate dalla scienza medica come effetti conseguenti al rigor mortis, che conferisce un’apparente elasticità al corpo del defunto nelle ore successive alla morte a causa della decomposizione delle fibre muscolari, mentre l’aspetto rosato deriverebbe dal coagulo del sangue rappreso.

Ma è con l’avvento del Romanticismo che si fa quel salto in avanti che il mondo della letteratura stava aspettando: gli intellettuali dell’epoca indagavano gli aspetti più irrazionali e passionali della natura umana, ed è in quel contesto che il vampiro acquisisce la fama di seduttore carismatico, oltre che di crudele assassino.

Molto prima del famoso Dracula di Bram Stoker (1897), un giovane di appena ventun’anni, creò una figura immortale che ha molto influito sulle opere successive: il vampiro seduttore e crudele. Sto parlando di John William Polidori, medico personale di Lord Byron.

L’occasione fu data dalla riunione di un élite di scrittori, lord Byron con il suo medico personale John Polidori, il poeta Percy Bysshe Shelley con l’amante e futura sposa Mary Wollstonecraft Godwin (in seguito nota come Mary Shelley, quella di Frankenstein per intenderci), nella residenza svizzera di Byron nota come villa Diodati.

In quei giorni, per vincere la noia, si diede iniziò a una gara- scommessa tra i quattro: chi avrebbe scritto la storia più terrificante. Dalla penna di Mary Shelley nacque il racconto di quello che sarebbe diventato il romanzo ispiratore di tutto il genere Horror-gotico, Frankenstein, ma questa è un’altra storia.

Il giovane medico John William Polidori, nato a Londra il 7 settembre 1795, seguì le orme del nonno e a sedici anni cominciò gli studi di medicina all’università di Edimburgo. A diciannove anni ottenne il titolo con una tesi sul sonnambulismo. Tuttavia ciò che davvero attraeva il giovane era la letteratura. Si può dire che l’incontro con lord Byron nel marzo 1816 costituì un momento decisivo della sua breve vita (visse soltanto ventisei anni). Il controverso ed eccentrico poeta stava cercando un medico personale che lo accompagnasse nel viaggio che stava organizzando per l’Europa. L’intesa tra i due fu subito perfetta e Byron finì per assumere Polidori, a cui promise una paga di cinquecento sterline per la redazione di un diario in cui il medico doveva raccontare le esperienze vissute al fianco di Byron nel loro viaggio attraverso il vecchio continente.

Ma non doveva passare molto tempo prima che l'impressione positiva di Byron rispetto al suo medico svanisse per trasformarsi in disprezzo. Da parte sua Polidori, che al principio sognava d’impressionare quello che era diventato il suo idolo, dovette affrontare la realtà: Byron lo disprezzava come autore e come amico. Nelle riunioni sociali cominciò a umiliarlo riferendosi a lui come al “povero Polidori” o “Polly Dory”: un atteggiamento che lo abbatté moltissimo.

Ormai una delle maggiori celebrità del continente, Byron era abituato alle feste, agli amori proibiti, ai pettegolezzi su di lui… Oltretutto gli scandali sessuali che lo circondavano non lo toccavano minimamente. Al contrario, sembrava godere delle critiche, a patto che il suo successo letterario rimanesse indiscusso. Polidori giunse a pensare che Byron fosse «un corruttore dell’innocenza e un predatore insaziabile» che si alimentava della paura altrui. Byron sarebbe così diventato la personificazione del vampiro, un essere crudele, ma dall’incredibile attrattiva.

Durante la scommessa intavolata a villa Diodati, il giovane medico quindi si ispirò proprio a lord Byron per il suo racconto, Il Vampiro, dove riversò tutto il suo risentimento per lo scrittore.

L’opera di Polidori traccia il ritratto di un vampiro aristocratico, freddo, elegante e mascalzone: Polidori non fa menzione di Byron, ma nel ritratto del suo vampiro si riflette senza dubbio l’immagine del poeta, ben riconoscibile per i suoi contemporanei.

«Il suo compagno era molto distaccato: il fannullone, lo scansafatiche e il perdigiorno ricevevano da lui più del necessario per alleviare le proprie perentorie necessità. Audrey però osservò anche che lord Ruthven non alleviava mai gli stenti dei virtuosi, ridotti all’indigenza per cattiva sorte, che congedava senza ascoltarli e sbeffeggiandoli. Eppure quando qualcuno si rivolgeva a lui non per rimediare ai propri bisogni, ma per sprofondare nella lussuria o nelle peggiori depravazioni, lord Ruthven non gli negava mai il suo aiuto».

In modo più o meno innocente Polidori rifletteva sé stesso nel protagonista dell’opera, un giovane inglese di nome Aubrey, divenuto compagno di viaggio del malvagio vampiro.

Polidori aveva creato l’archetipo di uno dei personaggi più iconici di tutta la letteratura noir: il vampiro aristocratico e seduttore.

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