Il treno dei bambini



Da ieri è disponibile su Netflix il film “Il treno dei bambini”, che racconta un pezzo di storia italiana fatto di solidarietà e di altruismo accaduto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
La pellicola diretta da Cristina Comencini, infatti, narra la vera storia di un grande progetto solidale, ideato in Italia per fornire aiuto, supporto e cibo alle decine di migliaia di bambini italiani che vivevano in condizioni di povertà. Organizzata dall’Unione donne italiane (Udi) e dal Partito Comunista italiano, l’iniziativa donò speranza e conforto alle famiglie colpite dalla guerra.
Il film è ispirato all’omonimo romanzo di Viola Ardone, ambientato nel 1946, racconta la storia di Amerigo (interpretato da Christian Cervone), un bambino di sette anni originario di Napoli, che vive in condizioni di povertà insieme alla madre Antonietta (Serena Rossi). La sua quotidianità cambia nel momento in cui la madre accetta la proposta del Partito Comunista: imbarcare Amerigo su un treno diretto verso il Nord Italia, dove una giovane contadina, Derna (Barbara Ronchi), lo ospiterà nella sua casa e si prenderà cura di lui come di un figlio. Da adulto, Amerigo (Stefano Accorsi) farà poi ritorno a Napoli, dove capirà, fino in fondo, l’amore incondizionato della madre, che lo ha lasciato andar via unicamente per il suo bene, incapace di potergli dare una vita migliore.
“Ameri, a volte ti ama di più chi ti lascia andare che chi ti trattiene.”
Cenni storici
Una storia di miseria e nobiltà, una pagina poco nota dell’Italia appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale: quella dei “treni della felicità”, i convogli che portarono da Sud a Nord – accolti per mesi da famiglie che diedero loro cura e istruzione – migliaia di bambini di famiglie finite in miseria. A pensare a questa forma di solidarietà è, per primo, un gruppo di attiviste del Pci che hanno l’idea di chiedere alle famiglie contadine del Nord di accogliere i bambini a rischio miseria. Li porteranno in treno. Il primo convoglio parte da Roma il 19 gennaio del 1946 alla volta dell’Emilia e della Toscana: è carico di bambini provenienti dalla capitale e dalla provincia di Latina. A breve ne partiranno altri, anche su iniziativa del Comitato per la Salvezza dei bambini di Napoli. Per anni, migliaia di famiglie di lavoratori del centro-nord, per lo più emiliane e romagnole e toscane, aprirono le proprie case a bambini provenienti dalle zone del Paese più povere e più colpite dalla guerra. Da Cassino bombardata, da Napoli semidistrutta, da Roma baraccata, poi dalle campagne affamate della Puglia e della Sicilia. Essi trovarono nelle nuove città cose mai viste: l’acqua corrente nelle case, le lenzuola profumate nel letto, la carne sulla tavola. Furono curati e vaccinati. Impararono a leggere e a scrivere.
Dopo i treni della morte, quelli delle deportazioni, il nostro paese avrebbe visto finalmente dei treni che la vita la ricostruivano e la tutelavano. Questa è l’Italia che mi piace, non quella a due velocità che miseramente esce spesso allo scoperto; pagine di storia che vanno ricordate, a dimostrazione che quella di darsi una mano a vicenda è sempre la via più giusta per andare avanti e rinascere. Dal passato una lezione al presente per costruire il futuro.

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