Un ragazzo eccezionale




L’uomo che parlava all’universo - estratto




Quell’anno però, nonostante tutto trovai il mio senso, cioè trovai una ragione al mio non essere andato in vacanza.
La mia ragione, il mio senso, la mia missione, aveva un nome, ed era Massimo.
Non lo capì subito, ma poi tutto mi fu chiaro, cristallino!
Massimo era un mio amico di quei tempi, o almeno lo divenne in modo particolare quell’estate; lui in vacanza ci andava eccome, ma stranamente non quell’anno.
Era stato sempre un bellissimo ragazzo Massimo; biondo, occhi azzurri, con un sorriso spontaneo e amichevole che gli illuminava il viso, rallegrando chiunque della sua presenza e della sua compagnia.
Quell’estate però la sua bellezza stava appassendo, e tutti ce ne rendemmo conto, ma senza farci troppe domande; neanche del perché Massimo, così socievole, ormai si vedeva in giro molto raramente.
Poi una sera a cena con i miei l’argomento fu toccato, e mi dissero che sapevano che Massimo era gravemente ammalato, probabilmente di una forma di leucemia, ma che le loro informazioni finivano là. Neanche i miei genitori erano molto in confidenza con quelli di Massimo, ma in un condominio in qualche modo le notizie vengono sempre diffuse.
Il primo cronista, nonché direttore del gazzettino del “Parco delle palme”, era il mitico don Mimì, portinaio vigile e attento, che nella sua guardiola smistava posta, intesseva pubbliche relazioni e diramava bollettini quotidianamente.
Massimo prima della fine dell’anno sarebbe morto, ma nessuno di noi in quel momento poteva immaginarlo; io invece me ne resi conto qualche tempo dopo, quando la mia missione era ormai in pieno svolgimento senza neanche che io me ne fossi reso conto, almeno inizialmente.
Quell’obiettivo estivo che inconsapevolmente mi stavo dando, ebbe inizio una mattina, ai primi d’agosto, quando già il parco condominiale era vuoto al 70/80 per cento. Massimo se ne stava seduto a leggere su una panchina che giovava dell’ombra del vicino albero.
Indossava una bandana grigia, con disegni geometrici stilizzati; era la moda del momento, pensai, portare la bandana sulla fronte nonostante il gran caldo estivo, ma col tempo mi resi conto che Massimo la indossava per cercare di nascondere gli effetti devastanti delle chemio subite nei mesi precedenti, che avevano sfoltito irrimediabilmente la sua capigliatura bionda.
L’aggressività di quelle cure, purtroppo non aveva avuto un gran effetto sulla sua malattia, ma aveva manifestato la sua violenza logorante sul povero Massimo senza un minimo di compassione.
Non aveva risparmiato il suo ciuffo dorato, che aveva l’abitudine di tirarsi su con un soffio, facendo una smorfia con la bocca per buttare l’aria verso l’alto.
Mi avvicinai; dopo tutto entrambi eravamo prigionieri del cemento rovente in quella calura estiva, e due carcerati compagni di cella non possono che farsi compagnia e offrire il loro reciproco conforto.
Io ero consapevole del fatto che probabilmente avrei dovuto offrire l’apporto maggiore in fatto di conforto tra i due, ma ciò non mi spaventava.
Ma mi sbagliavo anche in questo; Massimo mi diede così tanto in quel poco tempo che ci frequentammo più assiduamente, che io rimpiansi di non aver mai approfondito prima la conoscenza di quel ragazzo eccezionale.

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