La mia cucina da anni non è più calda, non ci mangia più nessuno.
Io mi nutro con un panino, rovesciata sul letto, guardando pareti da cancellare. Non potrei più desinare in cucina senza mio marito e i miei figli. Se faccio tardi ceno anche in piccole trattorie, ma è la stessa cosa. Quando torno a casa non c'è nessuna pentola che bolle intorno.
Mi invitano spesso a pranzo ma non accetto quasi mai. Mi parrebbe di prendere il tè nel deserto, di non avere commensali. Comunque, siccome mi sembra di non assolvere un dovere mando cibarie ai poveri affinché si nutrono di nascosto, come faccio io. Recentemente ho pensato che il cibo, così essenziale per tanti, può diventare un veleno.
A casa mia cucinava mio marito, preparava cibi falsi e improbabili che tutti lasciavano nel piatto, si sbagliava a cucinare anche le uova fritte.
Però si rideva, si cantava, e di nevrosi non ne circolavano.
Alda Merini
Una pasta in solitaria
Che quando uno è solo in casa per il pranzo diventi pigro, è risaputo.
Per quanto mi sforzi, questa specie di morbo prende anche me; difficilmente si riesce a contrastarlo.
Ma quella volta no!
Prima di ritrovarmi sconfitta a mangiare un tramezzino sciatto preparato con fretta indolente, avrei combattuto con tenacia la pigrizia in agguato.
Da dove cominciare esattamente non sapevo; un buon inizio, pensai, poteva essere apparecchiare con cura la tavola.
Volendo strafare decisi che mi sarei concessa un bel piatto di pasta, e che pasta: spaghetti alla carbonara! Chiunque sa che la carbonara esige il guanciale, ma poiché in frigo avevo solo la pancetta, non rinuncia al mio proposito, contravvenendo alla ricetta originale, in barba a tutti i puristi della cucina romanesca.
Avrei avuto il mio bel piatto di pasta alla carbonara, anche se con qualche licenza.
Il ricordo di quel solitario pasto, con tavola imbandita, fornello sporco, stoviglie da lavare, ancora adesso mi suscita gran soddisfazione. Ero riuscita a vincere quel senso di svogliatezza con la mia carbonara: la pasta che ha dovuto superare più ostacoli nell’intera storia culinaria mondiale.
Cinzia Perrone
Il primo è un testo della grande Alda Merini, il secondo è un mio ironico testo che cerca molto umilmente di ispirarsi alla tematica messa bene in luce dalla poetessa dei navigli.
L’importanza della convivialità a tavola è indiscutibile. Un cibo in compagnia è più gustoso, la voglia di mangiare ti viene, anche la preparazione del pasto risulta più entusiasmante se sai che qualcuno lo consumerà con te. Il cibo è nutrimento, e non solo per il corpo. Può trasmettere amore, condivisione, gioia.
Può sprigionare un sentimento di cura, insieme a chi vuoi bene e nei suoi confronti. La solitudine può manifestarsi anche nel consumare pasti frugali o nel prepararli, svuotando il cibo di tutto quel senso immateriale, rendendolo solo freddo sostentamento, senza alcun coinvolgimento.
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