ARTEMISIA, una storia di DONNA




Artemisia

Dietro quel quadro si nascondeva il suo segreto. A volte gli artisti raccontano attraverso le loro opere storie incredibili di loro stessi, che a noi sfuggono al primo sguardo. Quella tela era questo per lei, era la sua storia, una storia che appartiene a tutti noi, anche se quel dipinto ha più di quattro secoli. È la storia di una donna che per prima firmò i quadri che dipingeva, tanto che si dovette creare un appellativo solo per lei, pittora o pittoressa.

Una storia fatta di forza e fragilità al tempo stesso, la storia del primo processo per stupro affrontato da una donna, che come accade ancora oggi, da vittima si ritrovò sul banco degli imputati. Una talentuosa artista e una fiera donna che chiese solo di fare valere i suoi diritti, nell’ arte come nella vita. I diritti di un corpo violato nella sua apparente fragilità, lo stesso corpo che subì mille torture, con le quali tentarono di estrapolarle una confessione che ritrattasse le accuse. La colpirono proprio là, dove risiedeva la maestria della sua arte, le mani. Quelle mani con le quali si dipinse come Giuditta, la vendicatrice del popolo ebraico, che per difendere la sua gente, non esitò a decapitare Oloferne, il temibile generale assiro che assediava Israele. Con uno scaltro tranello, lo stesso di cui fu vittima Artemisia, l’eroina ebrea seppe infierire sul generale ormai ebbro di vino, mettendo da parte ogni fragilità, in nome di una forza furiosa. Con quell’immagine lei evocava la vendetta che avrebbe voluto consumare verso quell’ uomo che aveva abusato di lei, circuendola e ingannandola. Non conosceva altro modo se non quello per gridare al mondo il suo valore di donna e di pittrice.

Con quello e con tanti altri dipinti, in un tempo a cui alle donne era preclusa ogni forma di istruzione, figuriamoci quella artistica, seppe conquistare il suo spazio nell’olimpo dell’arte, lo spazio che si meritava. Artemisia combatté con tutte le sue forze per ottenere quella affermazione, non solo di artista quale era, ma anche di individuo autonomo e con una propria personalità, in un mondo di uomini.

Figlia d’arte, come si suol dire, sin da bambina sentì il richiamo della tavolozza dei mille colori nel laboratorio di suo padre, il quale non potette ignorarne il talento, che di gran lunga era superiore a quello di tutti i fratelli maschi.

A loro non era interdetto di andare a imparare l’arte in botteghe sparse per la città; così Artemisia capì che avrebbe dovuto faticare il doppio e da sola per farsi valere, perché dipingere era la cosa che più le premeva, il bisogno più urgente.

E sull’onda emotiva di quel torto subìto, dipinse quel quadro che rappresentò la sua ribellione verso tutte le ingiustizie passate.

Lei, abusata dall’ uomo che avrebbe dovuto esserle maestro, tradita nella fiducia da tutti, accusata di mentire perché osò denunciare; avrebbe dovuto accettare e accogliere quelle offese senza protestare. Ma lei non era così.

Lei era fiera, forte e decisa, nel non volere più indossare quella veste di fragilità che quella società le aveva cucito addosso.

E non servirono le umiliazioni e le angherie di un processo severo e crudele. Visite ginecologiche e interrogatori. Non servirono gli sguardi implacabili e ostili e le calunnie della gente a farla smettere di lottare.

Lei volle giustizia e in qualche modo la ottenne, facendo capire agli altri che una donna può. Può piangere, può amare, può accudire, ma può anche lottare, resistere, vincere. Odiare se necessario.

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