Ulisse: tra personaggio letterario e incarnazione dell’animo umano
Conosciamo Ulisse dall’Odissea, il poema epico del VI secolo a.C. Ulisse il protagonista di quell’incredibile viaggio che l’eroe greco intraprende per tornare a casa all’indomani della guerra di Troia.
Il suo viaggio rappresenta la parabola della vita, dove siamo chiamati ad affrontare mille difficoltà e dolori, ma anche a correre dei rischi ed accettare delle sfide.
Bramosi di conoscenza e avventure ma pur sempre alla ricerca degli affetti più cari. Ma Ulisse non è solo quell’eroe greco cantato da Omero, Ulisse è in ognuno di noi; proprio per il suo essere profondamente umano ha ispirato molti altri scrittori.
Nella Divina Commedia, Dante lo colloca nell’ottava bolgia dell’ottavo girone, in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti, avvolti in lingue di fuoco. La colpa di questi dannati è legata alla conoscenza e, soprattutto, all’uso della parola per tessere inganni. Il loro peccato è quindi di natura intellettuale: Ulisse è punito per imbrogli che ha ordito attraverso un uso sapiente del linguaggio, come l’inganno del cavallo di Troia. Dante si sente personalmente coinvolto nel peccato commesso da Ulisse, perché anch’egli ha tentato un volo altrettanto folle cercando di arrivare alla piena conoscenza con la sola guida della ragione, senza l’aiuto della grazia divina: proprio il peccato di natura intellettuale è stato all’origine dello smarrimento nella selva. Dante nel XXVI canto dell’inferno descrive il famoso volo di Ulisse, nel quale il mitico personaggio avrebbe trovato, nella sua personalissima narrazione, la fine. Secondo Dante fu proprio la sua insaziabile curiosità e straordinaria abilità di linguaggio a condurlo alla morte insieme ai suoi compagni. È Ulisse stesso a raccontare a Dante il suo ultimo viaggio. Giunto alle colonne d’Ercole, il limite estremo delle terre conosciute, l’eroe rivolge ai compagni una piccola esortazione che è un capolavoro di retorica, con cui li incita all’impresa, nell’insegna del rischio e della conoscenza; in realtà egli vuole soddisfare solo la sua curiosità, non curandosi del rovinoso naufragio a cui espone i suoi compagni. Fascino e maledizione circondano l’Ulisse dantesco.
Anche il Foscolo non rimane insensibile al fascino dell’eroe greco, ma nel suo caso è l’Ulisse malinconico che prende il sopravvento, quello che si strugge per la lontananza dalla sua patria. Foscolo si paragona al suo essere esule nella poesia A Zacinto, dove il poeta rimpiange e loda il suo amato luogo natio da cui è ormai lontano. Ma il suo destino è assai più sventurato di quello del protagonista del poema greco; la sua terra rimarrà per sempre lontana ed estranea al suo destino.
Leopardi invece nel suo Zibaldone prende in considerazione ancora un’altra peculiarità di Ulisse, la sua vanità. Il poeta romantico lo ritiene poco amabile a causa della sua ostentata saggezza che lo rende quasi odioso.
Saba, invece ritorna sul tema del rischio. Il poeta ermetico pone valore al rischio che va accettato nella vita, proprio come Ulisse che ne ha corsi tanti durante la sua peregrinazione, che altro non è che la rappresentazione della vita con le sue imprevedibili insidie. È mirabile come il poeta lo evochi senza mai nominarlo.
Come non ricordare L’Ulisse di Joyce, che prendendo a pretesto lo straordinario viaggio intrapreso da Ulisse nell’Odissea, ne intraprende un altro all’apparenza più profondo, ma che coglie tutte le metafore omeriche: un viaggio introspettivo, psicoanalitico.
Il romanzo di un Ulisse moderno.
La figura di Ulisse continuerà ad ispirare gli uomini perché il viaggio della conoscenza dell’uomo non è finito.
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