L'IPPOCRATE NAPOLETANO: DOMENICO COTUGNO




Domenico Cotugno è un personaggio quasi leggendario, e a giusta ragione denominato “l’Ippocrate Napoletano“. Si pensi che negli ultimi anni della sua vita era così famoso che si diceva che a Napoli “nessuno poteva morire senza il suo permesso“.


Eppure, dietro la storia di uno dei padri della medicina moderna, c’è una vita di grossi sacrifici per un ragazzino di provincia che pur senza un soldo in tasca ma con tanta forza di volontà, diventò uno degli uomini più potenti e famosi del suo secolo, perché i suoi studi furono fondamentali per gli studiosi di tutta Europa. 
Originario di Ruvo di Puglia, un paesino agricolo di circa 1000 anime nel 1736. I suoi genitori erano modesti agricoltori e la sua infanzia andò avanti lavorando nei campi e aiutando i genitori nelle piccole attività quotidiane di una famiglia di campagna, fra l'aratro e la vigna.
Aveva appena 9 anni quando conobbe un cappuccino, Frate Paolo, che prese in simpatia quel giovane ragazzino di campagna che, ad ogni sua visita, faceva mille domande e non smetteva mai di parlare. Decise di portarlo con sé nel seminario di Molfetta e di insegnargli a leggere e scrivere. Conobbe i libri e si innamorò della lettura, poi della filosofia e della matematica. Studiò l’anatomia sezionando animali, non potendo lavorare su cadaveri umani. La mente del giovanissimo Cotugno volava cento anni più avanti di quanto riuscisse a viaggiare il corpo. In una lettera, scritta prima della sua morte, raccomandava ai suoi nipoti di studiare sempre da autodidatti: “da sé si fa meglio, non con l’altrui scorta. 
Il nostro animo si invigora e si fa forte quando capisce che, da solo, vale“. Così come i ragazzi di tante cittadine del Sud, a 16 anni si trasferì a Napoli, in cerca di fortuna, ma senza un soldo. All’epoca la città, governata da un illuminato Carlo di Borbone, ed era considerata una delle capitali della scuola medica mondiale. 
Cercò sistemazioni di fortuna dai frati che lo accolsero, ma Cotugno era un ragazzo orgoglioso così decise di andare a vivere a vivere da solo, in bettole e posti malfamati, dando fondo ai 6 denari mensili che i genitori riuscivano a mandargli dalla lontana Puglia. A soli 16 anni si presentò all’Ospedale degli Incurabili, perché erano alla ricerca di un assistente medico. Lavorò giorno e notte, senza mai fermarsi, mangiando poco e dormendo ancora di meno. Ogni occasione era buona per imparare e, quando tornava nella stanzetta, continuava a leggere libri di medicina.
A soli vent’anni si laureò in chirurgia alla Scuola Medica di Salerno, all’epoca una delle più prestigiose del mondo. Si racconta che durante le lezioni spesso sveniva a causa del poco sonno e del mangiare pessimo, dato che non poteva permettersi nemmeno due pasti al giorno. Studiò la fisica e la medicina, e da allora Cotugno non ritornò più nella cittadina pugliese. 



A Napoli conobbe Antonio Genovesi, il quale lodò il giovane per «la bella scoverta degli acquedotti dell'orecchio». La stima era reciproca, in quanto Cotugno seguì la strada indicata dal filosofo di Castiglione: abbandonare le «sottigliezze» e la «ciarleria» per recuperare il valore pratico delle scienze. Quando nel 1754 divenne prima assistente poi medico dell'Ospedale degli Incurabili, iniziò la sperimentazione medico-scientifica. Tale esperienza gli fornì l'occasione di sperimentare lo stretto legame tra anatomia e chirurgia. 
La carriera di Cotugno, da quel momento, fu un continuo susseguirsi di scoperte storiche, come quella dell’anatomia dell’orecchio e del nervo che fa starnutire, avvenuta a soli 25 anni. Poi a 30 anni vinse il concorso per la cattedra di Anatomia all’università di Napoli, superando in classifica addirittura il suo anziano primario. E quella cattedra la occupò per ben 50 anni. 
Nel frattempo sul trono di Napoli era salito Ferdinando IV, che venne presto a conoscenza di questo giovane medico. Decise di convocarlo a corte e, presto, diventò medico del Re. Poi diventò anche Protomedico e, con la sua lunghissima esperienza, si dedicò allo sviluppo di una commissione per la salute pubblica, la prima nella storia di Napoli. 
Realizzò il “Ricettario Farmaceutico napoletano”, una sorta di “bibbia” di tutti i rimedi medici e dei relativi costi. E proprio lui fu la persona che divise la carriera di farmacista da quella del medico. Come professore fu illuminato e rivoluzionario nel suo campo. Non dimenticò mai gli sforzi che fece per studiare e, per questo, finanziò di tasca propria gli studi dei suoi studenti più meritevoli. Sosteneva che il professore doveva dare un aiuto per migliorarsi da soli, perché “la medicina è una cognizione, una intuizione, non una scienza da imparare. L’ha prodotta la natura e solo lei la conosce davvero“. Una visione rivoluzionaria per un’università di 250 anni fa e, forse, anche per oggi. Era anche un fortissimo sostenitore della serietà e dell’integrità del medico: un professionista è tale quando è serio e credibile. Basta pensare che uno degli ultimi atti di Cotugno, prima della morte, fu un messaggio di severissimo rimprovero a un tale Francesco Boccalino, un dentista che cercava di procurarsi clienti inscenando spettacoli di marionette. Fino alla morte, continuava a scrivere libri e trattati. E, per una vita vissuta sempre al massimo, con poco sonno e tanto studio, non si risparmiò viaggi per l’Italia e l’Europa fino al 1815, anno in cui fu colpito da un ictus. Era infatti un appassionato di viaggi e sosteneva che, senza conoscere le culture straniere, l’Uomo sarà sempre incompleto. 
Cotugno nei suoi numerosi viaggi aveva sempre manifestato interesse per ospedali, biblioteche e musei e si prefissò di allineare Napoli alle grandi città europee, ma i tutti progetti intrapresi si interruppero dopo la Rivoluzione del 1799. Fu infatti anche un grandissimo appassionato di arte antica, di archeologia e di letteratura.



A Napoli, diede inizio a misure profilattiche contro la tubercolosi, fu Decano della facoltà di medicina, rettore della medesima università partenopea, introducendo l'esame di fisica e stabilendo l'incompatibilità tra la professione del medico e quella del farmacista, e proto-medico generale del Regno delle Due Sicilie, carica che consisteva nell'attribuire privilegi per l'esercizio della professione a medici, chirurghi e altri del settore. In particolare per poter effettuare meglio i controlli in tutto il Regno, il 16 dicembre 1815, periodo in cui era scoppiata una pestilenza in Puglia, propose l'istituzione in ogni provincia di una Commissione dipendente dal Protomedicato generale. Nella sua attività Cotugno fu un sostenitore non solo della professionalità di coloro che operavano in campo sanitario, ma anche della loro correttezza. Socio di numerose accademie, italiane e straniere, quali quella di Copenaghen o quella medico-cerusica di Napoli, nonché consigliere di Stato. In particolare nell'Accademia delle Scienze e Belle Lettere ebbe un ruolo centrale nel miglioramento delle condizioni igieniche della capitale: i medici dovevano spostare il loro interesse scientifico, umano e professionale dalle malattie dei singoli a quelle della collettività. Fu solo il corpo a dire basta alla sua fame di conoscenza. Nel 1821, a 86 anni, morì. Ma la sua vita fu di esempio per intere generazioni di medici, che grazie a lui si innamorarono dello studio di una professione antica e nobilissima. 
L’Ospedale Cotugno, dedicato ancora oggi alle malattie infettive, fu fondato nel 1884 nella futura Zona Ospedaliera.

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