LA SINDROME DI STENDHAL

 LA SINDROME DI STENDHAL

Bella da far perdere i sensi e da rapire dalla realtà.



Per quanto incredibile possa sembrare, un’opera d’arte può avere questo potere.

Ci sono casi in cui un dipinto o una scultura possono provocare un turbamento tale da sconvolgere?
È possibile che la mente umana sia sopraffatta dalla troppa bellezza dell’arte? Così annientata da smarrire i propri contorni fino quasi a impazzire?
Ebbene sì, esiste una patologia in grado di generare tutto questo in chi ne è affetto. Provoca panico, vertigini e confusione in chi non riesce a contenere la meraviglia di fronte a opere di rara intensità.



Il fenomeno, osservato in tutto il mondo, non ha un nome univoco; è stato battezzato sindrome di Stendhal perché vissuto in prima persona dal noto scrittore francese, ma viene chiamato anche “sindrome di Firenze” o “sindrome di Gerusalemme”, le città d’arte in cui tende a verificarsi più spesso.

Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal



Descritta per la prima volta negli anni Settanta del secolo scorso dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini, questa sindrome non è ancora stata sufficientemente studiata.
La sindrome di Stendhal è un’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, vertigini, svenimento: sono i sintomi di un malessere che può sorprenderci davanti a un’opera d’arte, in chiesa o ascoltando della musica.

Stendhal (1783/1842), che ne fu personalmente colpito durante il suo Grand Tour effettuato nel 1817, ne diede una prima descrizione che riportò nel suo libro "Roma, Napoli, Firenze" 

- "Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere"

Henri Beyle nel 1817 pubblica i diari dei suoi viaggi a Roma, Napoli e Firenze con lo pseudonimo che lo consegnerà alla storia: Stendhal.

Interno della Basilica di Santa Croce a Firenze

A Firenze, Stendhal attende e sogna questo momento da tempo.

Se l’è immaginato molte volte, ma la realtà è più potente della fantasia. Vede le tombe di Alfieri, Machiavelli, Michelangelo e Galileo. Poi un frate lo accompagna alla cappella Niccolini affrescata dal Volterrano e lì lo lascia da solo.
Sono le Sibille di Volterrano dipinte sulla volta che danno a Stendhal quello che lui definirà essere il piacere più vivo che mai gli abbia procurato la pittura.
Le contempla a lungo e arriva al punto di sentirsene quasi parte, finché è costretto a lasciare la cappella e la basilica per uscire nella piazza, sopraffatto da un’emozione che non è più in grado di gestire.
La storia e l’eternità accumulate fra le mura di Santa Croce, in contrasto con la morte che contemporaneamente impernia la basilica e i suoi illustri sepolcri, gli fanno smarrire il controllo di sé.

Volta della cappella Niccolini a Santa Croce


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