BENVENUTO MARZO

Marzo è arrivato; ho pensato di dargli il benvenuto con una dolcissima poesia di Salvatore Di Giacomo, uno dei poeti napoletani che amo di più e che tanto ha saputo dare lustro alla sua terra con versi immortali.

Marzo: nu poco chiove
       e n’ato ppoco stracqua:
       torna a chiovere, schiove,
       ride ’o sole cu ll’acqua.
5        Mo nu cielo celeste,
       mo n’aria cupa e nera:
       mo d’ ’o vierno ’e tempeste,
       mo n’aria ’e primmavera.
       N’auciello freddigliuso
10        aspetta ch’esce ’o sole:
       ncopp’ ’o tturreno nfuso
       suspireno ’e vviole...
       Catarì!… Che buo’ cchiù?
       Ntienneme, core mio!
15        Marzo, tu ’o ssaie, si’ tu,
       e st’auciello songo io.

PARAFRASI

Marzo: un po’ piove e dopo un po’ smette di piovere; torna a piovere, spiove, ride il sole con l’acqua. Ora un cielo celeste, ora un’aria scura e nera; ora le tempeste d’inverno, ora un’aria di primavera. Un uccello infreddolito aspetta che esca il sole: sul terreno inzuppato sospirano le viole... Caterina! Che vuoi di più? Capiscimi, cuore mio! Marzo, lo sai, sei tu, e quest’uccello sono io.   

Ascolta la versione in musica di Massimo Ranieri    

  La poesia si muove su due piani similitudinari, quello naturalistico e quello umano; da una parte la mutevolezza del mese è comparata con la cangiante personalità dell'amata Caterina ed i suoi turbolenti rapporti con lo scrittore; dall'altro l'uccellino infreddolito è simile al poeta, che vive questa irrequieta storia d'amore.

Essa si snoda, infatti, tra le lacrime di una rottura (nu poco chiove/e n'ato ppoco stracqua:/torna a chiovere, schiove vv. 1-3), litigi altalenanti (Mo nu cielo celeste/mo n'aria cupa e nera: mo d'o vierno 'e tempeste/ mo n'aria 'e primmavera vv. 5-8) e riappacificazioni amorose (v. 4 ride 'o sole cu ll'acqua).

La seconda strofa, invece, è tutta incentrata sul poeta, che, stappandoci un sorriso, si mostra somigliante a un passerotto infreddolito, nell'attesa della propria amata, come un cane o un gatto innamorati della propria padrona aspettano ansiosi il suo ritorno; la natura simboleggiata dalle viole nate su un terreno bagnato, (ncopp'o tturero nfuso v. 11), compartecipa al suo dolore.

Nell'ultima strofa, infine, in cui finalmente conosciamo il nome della fatidica donna che lo sta facendo soffrire, Caterina, egli cerca di farle capire che più di tanto non può darle, solo un cuore innamorato e sofferente.

Quest’‘arietta’ di quattro quartine di settenari a rima alternata, pubblicata in Ariette e sunette nel 1898, racchiude in breve spazio queste due similitudini, una tra il mese di marzo, con la sua allegra e repentina mutevolezza, e la giovane Caterina, e quella – a contrasto - tra il poeta e un uccelletto infreddolito. 

Si tratta di un piccolo e luminoso gioiello, la cui freschezza e il cui fascino sono ottenuti con mezzi di estrema semplicità. 

Un critico, Pietro Gibellini, ha opportunamente parlato di un paesaggio che “si interiorizza progressivamente fino a diventare puro 'paysage de l’âme', terso come un acquerello giapponese”. Il dialetto napoletano si fa pura melodia verbale, dagli accordi lirici stilisticamente raffinati, eredi della grazia settecentesca.

Questo mese è proprio così, ci porta freddo, pioggia e vento, ma ci lascia anche ansiosi nell'attesa della primavera, che prima o poi ritornerà.



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