MORIRE D'AMORE



Ultima puntata sul mio blog sul legame da sempre esistente in letteratura tra amore e morte.

Amore e morte nella letteratura postromantica

Nella letteratura del Novecento il nesso amore-morte nella versione del morire d’amore è ancora frequente in autori che potremmo definire postromantici. Per esempio, lo si trova in Senilità (1898) di Italo Svevo, in cui la protagonista femminile, Amalia, innamorata senza speranza dell’affascinante scultore Emilio Balli, si dà all’oppio e si lascia morire quando anche il fratello, innamorato dell’ambigua e bellissima Angiolina, comincia a trascurarla indebolendo il loro legame affettivo; e ancora nella Figlia di Iorio (1904) di Gabriele D’Annunzio in cui Mila, figlia del mago Iorio, dichiara di essere stata lei a stregare il suo innamorato Aligi, inducendolo a uccidere il padre; e viene quindi giustiziata dalla folla inferocita.

Il Novecento, il secolo dell’impossibilità

Generalmente, nel Novecento il legame tra amore e morte è stato sentito come troppo “romantico”, come un tema ormai datato e legato a una concezione “piena”, sebbene tormentata, dell’esistenza, che non è più praticabile, anche se ancora desiderata. Emblematica di questo diverso atteggiamento nei confronti di un legame millenario è la poesia In casa del sopravvissuto, tratta dai Colloqui (1911) di Guido Gozzano. In essa, il protagonista sostiene che Amore e Morte sono le uniche due cose belle della vita. Pur essendo evidente la citazione tratta dai versi iniziali di Amore e Morte di Leopardi (ma anche dai vv. 99-100 del Consalvo: «Due cose belle ha il mondo: / Amore e Morte»), la situazione appare molto cambiata: l’uomo del primo Novecento continua a desiderare di compiere l’esperienza fondamentale dell’amore, e, attraverso essa, arrivare a una più profonda comprensione della morte, ma non è più in grado di realizzare questo desiderio. Il disincantato protagonista dei Colloqui, che dà voce alla crisi di primo Novecento, non riesce più a stabilire un rapporto diretto e coinvolgente con queste esperienze fondamentali: ha cercato di provarle, ma esse lo hanno respinto, poiché, malgrado le intenzioni, egli è incapace di quel coinvolgimento completo, di quell’adesione irriflessa che l’uomo romantico ancora provava. 

A conferma di questa impossibilità leggiamo un’ottava tratta da In casa del sopravvissuto, nella quale si condensa il mutato rapporto dell’uomo del Novecento con l’amore e con la morte:

«Reduce dall’Amore e dalla Morte

gli hanno mentito le due cose belle!

Gli hanno mentito le due cose belle:

Amore non lo volle in sua coorte,

Morte l’illuse fino alle sue porte,

ma ne respinse l’anima ribelle».




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