AMARE DA MORIRE

Tasso: Tancredi e Clorinda Ecco un altro celebre episodio della nostra letteratura in cui amore e morte si danno, per così dire, la mano: e cioè il duello fra Tancredi e Clorinda raccontato da Tasso nella Gerusalemme liberata. Nei casi che abbiamo visto finora la morte è un elemento proveniente dall’esterno rispetto alla coppia di amanti, indipendentemente dal tipo di amore che li lega: Patroclo, Eurialo e Niso, Cloridano vengono tutti uccisi da nemici. Nell’episodio di Tancredi e Clorinda, invece, a infliggere la morte all’amata è l’amante stesso. Si ricordi che in questo caso l’amore è nato tra due guerrieri appartenenti a eserciti nemici, ed è unidirezionale. È vero che Tasso si preoccupa di costruire una situazione che renda Tancredi incolpevole, non conoscendo egli l’identità del guerriero che ha di fronte; comunque, resta il dato che la morte viene inflitta proprio da colui che ama. Supremo paradosso, ma anche ulteriore manifestazione del saldo nesso tra amore e morte. E l’episodio rimarrebbe confinato dentro questa logica precristiana, se non ci fossero il perdono e il battesimo di Clorinda in punto di morte: grazie a essi, Clorinda assicura una nuova vita a se stessa e permette anche a Tancredi di iniziare un nuovo, diverso itinerario esistenziale, del quale, tuttavia, l’eroe non sembra approfittare.
Il Romanticismo: l’amore impaziente Il rapporto tra amore e morte è stato ripreso e ulteriormente approfondito nel Romanticismo. L’amore romantico è impetuoso, travolgente, passionale, impaziente di fronte a ogni ostacolo, tende all’assoluto. Proprio per questi motivi, approda spesso a quella che ritiene la soluzione ultima, chiamata a risolvere ogni problema: la morte. Nel periodo romantico, agli ostacoli esterni, come un rivale in amore, la differenza sociale e culturale, la ragion di stato ecc., si aggiungono quelli interiori. Infatti, le maggiori libertà, consapevolezza e autonomia della donna fanno sì che ella possa decidere di negare la propria collaborazione al progetto amoro- so, oppure di accettare una situazione, per poi proporre, o addirittura imporre, i propri obiettivi, mettendo così in crisi la relazione.
L’amore fatale di Jacopo Ortis Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1817), romanzo epistolare di Ugo Foscolo, abbiamo la compresenza di due tipi di ostacolo: Jacopo si innamora di Teresa, che lo ricambia; ma i due non possono unirsi perché Teresa è già promessa sposa a Odoardo (ostacolo esterno). Teresa dichiara a Jacopo che ella non potrà mai essere sua e questa decisione è frutto non solo delle costrizioni esteriori, ma anche di una sua libera scelta (ostacolo interno). I motivi che inducono Jacopo al suicidio sono almeno tre: la delusione politica, quella esistenziale e quella amorosa, ma fin dalla prima apparizione di Teresa Jacopo lega l’amore alla vita e alla morte. Subito dopo aver visto Teresa, così scrive all’amico Lorenzo: «Vedi per me una sorgente di vita: unica, certo, e chi sa! “fatale”» (26 ottobre). L’amore, dunque, ha la funzione di dare nuove ragioni alla vita, ma, allo stesso tempo, racchiude in sé un presentimento di morte, segnalato dal termine «fatale», significativamente posto a fine rigo. E difatti Jacopo, predestinato al suicidio fin dal suo primo apparire nel romanzo, prenderà la decisione definitiva quando, lontano dalla donna amata, verrà a sapere del matrimonio fra Teresa e Odoardo, come ci rivela l’amico Lorenzo: «Dal frammento seguente, che ha la data della sera stessa, apparisce che Jacopo decretò in quel dì di morire» (5 marzo).
Ermengarda e l’«amor tremendo» Anche in uno scrittore meno passionale e più misurato come Alessandro Manzoni, il tema canonico del morir d’amore trova almeno una realizzazione di grande intensità. L’opera è l’Adelchi (1822) e la protagonista è Ermengarda, figlia del re dei longobardi Desiderio e sorella di Adelchi. Andata sposa a Carlo Magno per ragion di stato, ma poi moglie felice e innamorata, a un certo punto viene ripudiata da Carlo per motivi politici. Torna allora dal padre e dal fratello e si rifugia dalla sorella Ansberga nel monastero di San Salvatore a Brescia. Consumata dal dolore del ripudio, Ermengarda prega la sorella di trovare qualcuno che trasmetta al sempre amato Carlo il suo messaggio estremo: ella lo perdona. E rivela di sperare ancora che Carlo richieda presso di sé almeno il suo corpo: l’amore che la donna prova tuttora per Carlo si manifesta in questo desiderio di contatto dopo la morte, contatto che in vita le è stato negato. Ma Ansberga le rivela che ciò non è possibile, perché Carlo ha celebrato nuove nozze con Ildegarde. A questa notizia, Ermengarda sviene e cade in delirio.
Amore e morte si intrecciano ancora una volta, ma questa volta all’interno del matrimonio. È questa una novità introdotta dalla cultura romantica, che talvolta nel matrimonio non vede un ostacolo all’amore, bensì il luogo eletto in cui esso può realizzarsi concretamente. La morte si manifesta al di fuori di esso perché nasce da un ripudio ingiusto, dettato dall’ostacolo esterno della ragion di stato, ma interiormente accettato dalla libera, egoistica volontà di Carlo. Leopardi: amore e morte, una nuova alleanza Una declinazione del tutto particolare della connessione tra amore e morte è quella che ci fornisce Giacomo Leopardi nella canzone libera che porta il significativo titolo di Amore e Morte, composta nel 1832 e pubblicata nel 1835. Si tratta di una meditazione del «pensiero poetante» (A. Prete) dell’autore sul rapporto che intercorre tra queste due forze; una meditazione che rovescia quello che, al di là degli esempi finora riportati, resta un luogo comune: per Leopardi, l’amore e la morte non sono due potenti entità nemiche tra loro, ma due forze alleate, entrambe positive. La canzone si articola in quattro strofe: nella prima si dichiara l’indissolubile solidarietà, quasi un legame amoroso, tra Amore e Morte; nella seconda il poeta dichiara che quando nel cuore dell’uomo nasce l’amore, assieme a esso prende vita il «desiderio di morir»; nella terza il poeta segue il parallelo crescere e rafforzarsi, nell’uomo innamorato, tanto della potenza d’amore quanto del fascino della morte; infine, nella quarta il poeta, che già nelle canzoni precedenti a questa aveva narrato la propria esperienza d’amore, invoca la «bella Morte, pietosa che ogni gran male, ogni dolore annulla».

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