SPEZZARE LE CATENE


 Oggi vi propongo un mio racconto.
 

 Buona lettura!


La storia di Anna

Questa è la storia di Anna, una ragazza che stava antipatica a tutti, persino a sua madre. Sguardo fiero, petto in fuori, aria impostata e atteggiamento scostante; quasi che si impegnasse a risultare antipatica alla gente.
Mai un sorriso, neanche un leggero accenno, sempre pronta invece una parola sgarbata o comunque un’allusione sgradevole; non risparmiava nessuno con i suoi modi.
Un fidanzato fantoccio aveva Anna, opaco e apatico quanto basta, inespressivo e indolente. Suoi amici non ne ho visti mai, semmai li avesse avuti.
I fratelli e le sorelle mal la sopportavano e in quanto a sua madre, come prima ho accennato, non ne parliamo; tra di loro era una guerra continua, i loro sguardi quando si incrociavano facevano scintille.
Chiunque osservasse quella situazione, in cui irrompeva una ragazza burbera verso ogni cosa e in particolar modo verso sua madre, per di più gravemente malata, non poteva non giudicare Anna odiosa e detestabile; era priva di qualsiasi slancio emotivo specie nei confronti della madre sofferente Anna. E anche se sua madre inveiva di frequente contro la figlia, per le persone che assistevano, la donna era più che giustificata, visto come la ragazza la trattasse.
Sua madre al contrario, era tutto zucchero e miele, con amici, parenti, con gli altri figli, ma mai con Anna, almeno da quando io le conoscevo entrambe.
La madre era l’antitesi della figlia, generando negli occhi degli altri quel confronto che vedeva sempre Anna perdente, e sembrava quasi che la madre godesse nel gettare ombre cupe sulla figlia che potessero inorridire gli altri; lei, povera donna che lottava contro un cancro, che non si può mai dire sconfitto, anche se per rimuoverlo aveva già subito un’asportazione parziale della spalla destra, non poteva perdere al paragone con una figlia astiosa e scontrosa che non mostrava mai un sentimento di pietà verso sua madre. Si trattava della solita competizione che scatta incomprensibilmente a una certa età tra madre e figlia, o c’era molto altro? Una verità che sfugge agli occhi, o che vuol sfuggire? O semplicemente non si riesce o non si cerca di scoprire?
Troppo spesso giudichiamo frettolosamente senza porci minimi interrogativi, condannando come giudici integerrimi situazioni a noi a volte troppo lontane, nelle quali non riusciremmo mai neanche a calarci.
Forse molto pigramente ci facciamo bastare quello che ci salta agli occhi, senza impelagarci in indagini che porterebbero solo via del tempo alla nostra preziosa vita.
La situazione era fin troppo evidente, caso risolto e archiviato; c’era una madre dolce e malata e una figlia acida che non le mostrava la minima compassione.
Tra le due c’era solo uno scambio reciproco di disprezzo, costante, implacabile, disarmante…non si poteva non empatizzare con il soggetto che appariva il più debole e bisognoso, ossia la madre. E Anna?
Nessuno si chiedeva quali fossero le radici di quell’odio innaturale verso il mondo e in particolare verso sua madre, nonostante la malattia, in una ragazza poco più che ventenne, ma che appariva come una quarantenne sfatta e disincantata.
Soprattutto, nessuno si chiedeva quanto tutto quell’odio che le veniva da dentro, le potesse nuocere in una sorta di gioco sadomaso.
Fa troppo male anche agli spettatori guardare oltre, oltre quello che si riesce a vedere in superficie, soprattutto se nel fondo si nascondono dei mostri marini spaventosi, spaventosi solo a guardarli.
Stava per sposarsi Anna, e non vedeva l’ora, ma non aveva quella eccitazione tipica delle spose, ma piuttosto un atteggiamento di liberazione, che ancora una volta manifestava con una plateale intolleranza verso quella casa, quella famiglia e ogni cosa che appartenesse a quella realtà domestica.
Aveva scelto apaticamente quel fidanzato così sciatto e inanimato, che non la entusiasmava, che rappresentava solo una fune da lanciare dalla sua torre; anzi, forse lo aveva scelto così vuoto apposta, affinché non le destasse mai alcuna emozione, perché per lei emozione era sinonimo di sofferenza.
Io cominciai a leggere fra le righe, non reputando esaustivo il testo ufficiale, e anche se mi spaventai, andai oltre. Oltre il muro del silenzio, che per molti è una protezione; li fa stare tranquilli e sereni, non turbati dalle sterpaglie che possono crescere intorno al loro piccolo orto curato e perfetto. Si rischia che chi vede l’imperatore nudo e lo grida a pieni polmoni, venga isolato, infamato e infine distrutto, e nessuno vuole rischiare di fare questa fine per amore di una verità che si rileverebbe solo scomoda per l’intera comunità.
Mi bastò focalizzare per un po’ l’attenzione verso il padre di Anna, l’unico che avesse un atteggiamento diverso con la ragazza, accondiscendente e amorevole.
Niente di strano, è più che normale che un padre verso la figlia si comporti così; ma i fatti insoliti qui erano due: primo, che fosse l’unico che si mostrasse affettuoso verso Anna, e secondo, che, mentre lo faceva, lo sguardo della madre se ne avesse avuto il potere, avrebbe incenerito la figlia. Uno sguardo che a tempo debito faceva finta di non vedere, covando solo una morbosa e insana gelosia.
Quello che ho visto non mi è piaciuto, ma non potevo voltarmi dall’altra parte per negare una verità che ormai avevo scoperto.
Adesso cerco sempre di fermare gli altri quando condannano senza appello, di essere gentile anche con chi mi si mostra scontroso, di capire e di comprendere quella che cataloghiamo con la parola cattiveria, scendendo anche all’inferno se necessario.
Alcuni sottovalutano il significato delle parole e la loro origine, considerandoli solo argomenti per secchioni intellettuali; cattiveria e cattivo derivano dal latino captivus, prigioniero, cioè quello che si faceva in guerra e veniva poi ridotto in schiavitù.
E una persona che vive una prigionia, una schiavitù, non sta forse male? Non soffre? Non cerca di sopravvivere e tirare avanti in qualche modo? Non cerca di difendersi come può?
Non stringiamo le catene con la nostra indifferenza, lasciando indisturbata continuare nei secoli questa prigionia col nostro avallo. Spezzare le catene si può e si deve!

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