MORALE DELLA FAVOLA




Il fiore, il fungo e la piantina.
In un tempo lontano, molti anni fa, gli uomini convivevano pacificamente e serenamente tra loro, con tutta la natura circostante e i suoi innumerevoli animali.
Il loro comportamento era improntato al rispetto reciproco e per ogni essere vivente facente parte dell’immenso universo.
-Buongiorno.
-Salve, come va?
-Tutto bene e tu?
-Bene, grazie. Che giornata meravigliosa, vero?
-Certo che sì.
Tutti si salutavano cordialmente, conversando amabilmente tra loro e così mostrando ognuno interessamento e coinvolgimento per la vita dell’altro; ci si aiutava nei momenti duri e si festeggiava per qualunque successo, chiunque riguardasse.
La gente insomma formava quel che si dice una gran comunità, attenta e partecipe ai bisogni di tutti. Ognuno faceva la sua parte svolgendo il proprio compito, senza mai dimenticare il valore della solidarietà.
Anche la natura viveva un momento meraviglioso. I cieli sempre limpidi e le acque trasparenti.
Le terre fertili, ricche di ogni ben di Dio, pronte ad esaudire ogni desiderio o bisogno alimentare delle persone.
Nei boschi gli uccelli e le altre bestie vivevano tranquilli e rilassati, gioendo di tutto intorno a loro.
Niente caccia e niente pesca, fatte per puro divertimento umano. I prati poi erano bellissimi, pieni di fiori graziosi e profumati; viole, margherite, rose, orchidee e tanti altri.
Ma ce n’era uno speciale, molto più bello degli altri, con petali tutti colorati e un odore di buono che infondeva gioia e pace. Tutti, ma proprio tutti, quelli che passavano per il prato dove era il bel fiore, non potevano fare a meno di fermarsi ad ammirarlo.
-Che fiore meraviglioso- Esclamavano in tanti.
-Resterei qui ad ammirarlo per delle intere ore- Era la frase ricorrente, specialmente dei bambini che andavano in quel prato a giocare.
Alcuni andavano fin lì apposta per vederlo; sembrava che quel fiore straordinario si cibasse di quegli sguardi curiosi ed ammirati, così come la gente sembrava rinascesse a quella bellezza armoniosa fuori dal comune.
Allora la notizia del fiore si diffuse; di orecchio in orecchio, da bocca a bocca, tutti sapevano dell’esistenza del bel prato in cui sbocciava l’incantevole fiore.
Quindi la gente accorse sempre più numerosa; ci venivano anche da molto lontano, magari anche per ammirarlo solo una volta, ma la sua immagine e il ricordo di quella straordinaria bellezza non li avrebbe mai lasciati: si sarebbero scolpiti nella memoria e nel cuore di ognuno, segno indelebile, un po’ come la marchiatura a fuoco che si usa fare sul bestiame per segnare per sempre la sua appartenenza.
Così quel fiore viveva ammirato da tutta la gente nel suo bel prato, inconsapevole quest’ultima che fosse proprio quella mirabile creatura floreale ad ispirare la gioia, l’amore e la pace fra tutti, unica fonte di quell’impeccabile condotta improntata all’amore.
Gli occhi degli ignari spettatori, si riempivano a quella vista di un amore puro, che avrebbe intriso tutta la loro esistenza.
La bellezza e la purezza di quel fiore erano capaci di destare i sentimenti più autentici e benevoli nelle persone che ne contemplavano l’immagine limpida e soave, come una sinfonia di profumi e di colori che allieta il cuore e fa vibrare l’anima. Nessuno, e dico nessuno, poteva durante il suo viver quotidiano, evitare di sentire il richiamo alla bellezza che aveva tanto riempito i loro sguardi e i loro cuori, infondendo in essi tutto ciò che il bello trasmette.
Non si trattava di una bellezza puramente estetica ma di qualcosa di più, più complicato da spiegare e da capire, qualcosa semplicemente da sentire...non con le orecchie, ma con l’anima.
Emozionare, questa è la parola che meglio descriveva l’effetto che produceva su tutti la visione di quell’incanto; tutti siamo fatti di emozioni e siamo portati a provare emozioni: piangiamo, ridiamo, gioiamo, esultiamo, ci commoviamo, amiamo, proviamo paura, dolore, tristezza, felicità...insomma è un continuo sentire che ci avvolge nella calda e rassicurante coperta che è la vita.
Un po’ come quelle coperte in quello stile americano che uniscono diverse parti di tessuto. Ecco, quel fiore nel suo bel prato era il fulcro, il centro nevralgico, il nucleo essenziale, il punto di origine di tutto il “patchwork”, fatto di emozioni, sensazioni…fatto di vita, vita che aiuta la vita.
Tutto poteva continuare per il verso giusto, ma si sa, che quando tutto fila liscio, è lo stesso genere umano a complicarsi la vita, commettendo dei terribili errori.
La natura deve seguire il suo corso, senza forzature o costringimenti. Le interferenze umane, non si sa mai che conseguenze potrebbero causare.
Un giorno, così, un uomo si era stancato solo di ammirare il bel fiore; per di più gli toccava fare un bel cammino prima di arrivare a quel bel prato, dato che abitava abbastanza distante da quel luogo.
In lui si stava facendo strada l’idea malsana di voler possedere il fiore, così da poterlo ammirare ogni volta che volesse; tenere il fiore tutto per sé significava privare gli altri di una tale gioia per gli occhi e tutti gli altri sensi...e cosa sarebbe stato di quei dolci e delicati sentimenti che provava la gente nel guardarlo? Che ne sarebbe stato dell’armonia che regnava incontrastata tra gli abitanti di quelle zone?
Queste domande l’uomo non si pose; molto spesso, la storia ce lo insegna, purtroppo si agisce senza pensare.
L’uomo era ormai preso da un sentimento sì forte di egoismo, che era comprensibile che mai gli avesse potuto balenare nella testa neanche la benché minima preoccupazione circa la bontà della condivisione del prodigioso fiore e il suo venir meno.
-Lo voglio sempre con me. - Pensò l’uomo fra sé. - Che c’è di male a voler posseder qualcosa, infondo si tratta solo di un fiore. – Si disse per tranquillizzarsi e per non sentirsi in colpa.
Ma quello non era un fiore qualunque, ma anche se l’uomo questo non poteva saperlo, avrebbe dovuto controllare i suoi sentimenti egoistici e di possesso nei confronti di un bene, che in quella realtà apparteneva a tutti.
Ormai la decisione definitiva era stata presa: l’uomo in modo categorico decretò che quel fiore dovesse essere suo, che poco importava se questo suo desiderio di possesso avrebbe escluso dal godimento alla vista del fiore, del tutto gli altri.
Per lui, le altre persone, avrebbero comunque potuto continuare ad ammirare tutto il resto; non gli avrebbe mica tolto l’intero prato?
-Non bisogna forse lottare per esaudire i propri desideri? - si chiese l’uomo, soddisfatto per le argomentazioni trovate in sua difesa.
La tenacia, l’ambizione, la competizione, non sono forse anch’essi valori da coltivare?
O forse bisogna sempre chiedersi a quale fine essi sottendano? Un fine egoistico non sarà mai giusto, per giustificare un’ambizione.
Ma l’uomo era troppo impegnato a mandar via i sensi di colpa, per cercare le risposte sagge ai suoi interrogativi mal posti.
Ormai era talmente concentrato solo su di sé, da non vedere più gli altri, da non interessarsi della felicità comune all’intera collettività.
Lottare per i propri desideri è anche giusto, ma sicuramente questo non deve implicare che nella lotta si infrangano i desideri altrui.
Poi, un altro concetto gli sfuggiva: lui stesso era parte di quella collettività, quindi l’infelicità che avrebbe procurato a tutti, primo o poi, si sarebbe riversata anche su di lui; soddisfacendo un suo egoistico desiderio si sarebbe procurato solo una felicità effimera, a discapito di quella ben più importante e duratura comune a tutti, compreso lui.
Quando si dice che la stupidità umana non ha limiti!
A quel punto, l’uomo si organizzò sul da farsi per poter passare all’azione una volta per tutte, dato che ormai era stanco di aspettare e rimandare.
Andò a notte fonda nel prato, quando era sicuro che tutti dormissero, e di nascosto come un ladro con la paura di farsi vedere da qualcuno, si avvicinò all’amabile fiore, e cominciò a scavare la terra tutt’intorno e fino in profondità in modo da poter estirpare il fiore integro con tutte le sue radici; più l’espianto fosse stato preciso e perfetto, più l’operazione del reimpianto sarebbe riuscita.
Infilò il tutto nella sacca che si era portato dietro per l’operazione e corse subito a casa, sempre attento nel guardarsi attorno.
Arrivato a casa, tosto preparò un vaso pieno di terriccio, accuratamente prese il fiore riposto nella sacca e con delicatezza lo piantò nel vaso.
Ora beato avrebbe potuto ammirare il fiore a suo piacimento, quando e come voleva, inspiegabilmente felice di essere il solo a poterlo fare.
Non ci volle molto prima che la gente si accorgesse che il fiore era misteriosamente scomparso.
Come si poteva non notare l’assenza del fiore più bello in quel prato?
I primi che scoprirono la scomparsa del fiore, cominciarono allarmati a diramare la notizia, così a poco a poco tutti quanti vennero a sapere dell’accaduto.
-Non noti niente di strano? - Disse un tale che passava di lì di primo mattino per andare al lavoro, all’amico che era con lui.
-Certo. - Rispose quest’ultimo. - Manca il fiore più bello!
-Che fine avrà fatto mai? - Disse l’altro. - Questo è proprio un bel mistero!
L’amico annuì e in seguito i due parlarono della loro accidentale scoperta agli altri che incontravano; tutti naturalmente, vollero andare a controllare di persona la veridicità di quella notizia.
Il seme della zizzania causato dalla scomparsa del fiore, già si stava insinuando a loro insaputa, nei cuori di tutta la comunità: infatti la diffidenza, non è propriamente un sentimento lodevole. La mancanza del fiore, o meglio la mancanza del suo effetto benefico su tutte quelle persone, cominciò a farsi sentire da subito.
La tristezza inondò l’intero paese, come uno tsunami che non dà scampo né preavviso.
E la gente triste si sa, non combina nulla di buono; anzi, cominciarono da quel momento le inimicizie, le invidie, i litigi, le maldicenze e tutto quanto di più deplorevole esista per rendere una sana e pacifica convivenza, come era stata fino a quel momento, un vero e proprio inferno.
Che fosse stata la scomparsa di quel fiore a cagionare così tanto dolore?
L’uomo reo che sapeva, dopo aver visto coi propri occhi la tristezza e lo sgomento sul viso di tutte le altre persone, adesso gli interrogativi che frettolosamente e superficialmente aveva ignorato, se li stava ponendo; in cuor suo le risposte che era riuscito ora a darsi, tuonavano come una sentenza senza appello.
Vedeva che la gente si ignorava, e quando non lo faceva, passava il tempo a litigare.
Nessuno si salutava più, anzi a volte le persone nell’incrociarsi si lanciavano delle minacciose occhiatacce.
Niente più sorrisi, solo facce sconsolate e arrabbiate; nessuno riusciva a divertirsi, a giocare e scherzare.
La situazione sembrava essere insostenibile, l’ira e la depressione era scolpita sui volti della gente.
Rubando il fiore, l’uomo egoista, aveva privato tutte quelle persone della gioia che scuote il cuore, che permette ai sani valori di riuscire a venir fuori.
L’ altruismo, la bontà, la solidarietà, la condivisione, la disponibilità, la generosità, albergano nell’uomo ma fanno fatica a venir fuori; la natura previgente a quel fiore aveva assegnato proprio questo compito…ed ora?
Ora che lo sciagurato si era finalmente posto le dovute domande, oltretutto riuscendo anche a darsi le plausibili risposte, cosa mai rimaneva da fare per porre rimedio al disastro procurato dal suo comportamento scellerato?
Il bisogno di cercare in tutti i modi di rimettere le cose a posto, o almeno di provarci, era fortissimo in quell’uomo colpevole, l’unica sua possibilità di potersi riscattare, di potersi sentire di nuovo bene con sé stesso e nei confronti degli altri; quando ci si rende conto del proprio egoismo, come era successo a quel malcapitato, si comincia a stare veramente male.
Decise che doveva provare ad annullare il suo deprecabile gesto; avrebbe fatto il suo percorso criminoso a ritroso.
Allora una notte egli prese con sé il vaso e andò fino a quel prato dove un tempo il fiore giaceva indisturbato; scavò con cura e vi ripianto il fiore pieno di premura.
La sua speranza era una sola: che con quel suo gesto di ravvedimento tutto si fosse sistemato per il meglio e che la vita delle persone potesse ritornare a essere amorevole e gioiosa come prima.
Ma una domanda gli ronzava nella mente: sarebbe bastato quel solo gesto così semplice, per porre rimedio a un così grande errore; come un bambino che giocando con la palla in casa, cosa tassativamente vietatagli dai genitori, rompe il più bel vaso della mamma e per non farla arrabbiare, meticolosamente lo rincolla pezzo per pezzo.
Per quanto grande possa essere il suo sforzo nel ricostruirlo, in cuor suo sa che le crepe a uno sguardo più attento saranno sempre visibili, ma comunque spera che la madre non se ne accorga.
Così, l’uomo sapeva che era stato fin troppo semplice l’aver ripiantato il fiore come se nulla fosse successo, comunque sperava che potesse essere sufficiente a rimettere le cose così come erano prima.
L’indomani, tutti si accorsero naturalmente del ritorno incomprensibile del fiore, ma si accorsero anche che accanto ad esso era spuntato un fungo che ne offuscava la bellezza. Ormai la sua visione di completa beltà era compromessa; il fiore non suscitava più quella gaudiosa beatitudine che al meglio li spronava tutti ad essere felici e magnanimi.
La stupefacente riapparizione, aveva destato nella mente di tutta quella gente, solo una quantità indecifrabile di interrogativi, non più gioia e pace come faceva una volta: le perplessità che aveva avuto l’uomo stavano trovando la loro conferma.
-Guarda è ricomparso il fiore che era sparito misteriosamente! - disse un ragazzino a suo padre, con il quale stava tornando a casa da scuola.
-Ma che dici, non può essere. - rispose il genitore spazientito e incredulo.
-Ma sì papà, guarda bene. - ripeté ostinatamente il ragazzino.
-Effettivamente…- osservò meglio l’uomo- ma non sembra proprio lo stesso fiore; c’è qualcosa di strano. Come ha fatto prima a sparire e poi a ricomparire così dal nulla? Credo che non sia lo stesso fiore, anche se ci assomiglia tantissimo.
-Ti dico che è lo stesso, lo riconosco. - replicò il figlio, sempre più convinto di quel che dicesse.
-Cosa vuoi saperne tu che sei solo un ragazzino? Penso proprio che ti sbagli; vedremo cosa diranno anche gli altri. - sentenziò l’uomo. -Non vedi che c’è quel fungaccio che non apparteneva assolutamente a quel fiore che c’era prima?
Come era possibile che il fiore fosse ricomparso così miracolosamente? E soprattutto, da dove spuntava ora quel fungo, qual era la sua provenienza e la sua natura?
Queste e tante altre erano le domande che si fecero anche tutti gli altri, i quali per la maggior parte non riuscivano neanche a riconoscere quel fiore, quasi che la vista fosse ormai offuscata e la mente ormai irrimediabilmente lontana da qualsiasi bel ricordo precedente.
Forse qualche bambino ci riusciva, così come era stato per quel ragazzino che tornava da scuola con suo padre; forse loro riuscivano a conservare nei propri sguardi la purezza, almeno quel tanto che bastava, per poter apprezzare il buono che ancora il fiore riusciva ad emanare, perché si sa, i bambini hanno una marcia in più!
Ma più di ognuno, era l’uomo egoista, colpevole, che tanto aveva sperato, pur essendo scettico, di aver sistemato ogni cosa, che non riusciva a darsi pace ponendosi mille interrogativi. Si recò nel prato e al cospetto del fiore, cominciò a inveire contro se stesso.
-Che stupido sono stato, come ho potuto pensare solo a me stesso? - si disse duramente l’uomo. –Non avrei mai dovuto agire così egoisticamente, per di più senza pensare alle conseguenze…Sciocco che non sono altro, ho combinato un bel disastro! Volevo risolvere tutto così semplicemente, che sciocco! Ora tutto è perduto…
Nel mentre imprecava e si malediceva, scoppiò a piangere; calmatosi, rimase ancora un po’ seduto in mezzo al prato, silenzioso e tutto assorto nei suoi pensieri.
Una vocina misteriosa e sibilante lo richiamò all’attenzione.
-Ei, tu che ti disperi, ascolta quel che ho da dirti. -Era il fiore che provava a spiegargli, tra la sua incredulità, cosa fosse stato a cambiare la situazione. -Vedi caro amico, io rappresento tutto quello che di bello esiste e riuscivo a infonderlo e destarlo anche in tutte le persone. Tu mi hai voluto per te sottraendomi a tutti gli altri. In questo modo hai causato la fine di un giubilo provvidenziale, e quando poi hai capito la tua leggerezza e ti sei pentito, era troppo tardi. Mi hai riportato, è vero, nel mio bel prato per poter essere di nuovo sotto gli occhi di tutti, ma il mio prato, la mia terra, quella che mi nutre e mi preserva, grazie a te ha conosciuto l’odioso fungo dell’egoismo, con il quale ora mi tocca condividere la casa.
L’uomo, un po’ frastornato per quello strano intervento del fiore, si intristì come non mai, avendo compreso l’irrimediabilità del suo gesto, e si chiedeva ormai quando sarebbe giunta la fine di ogni cosa, di ogni sentimento buono e puro, che un tempo ogni abitante del villaggio aveva dentro sé e grazie al fiore, altrettanto puro, riusciva a tirar fuori.
Ma ora che il fiore non era più così puro? Pensò che non ci fosse alcuna soluzione e i suoi occhi divennero lucidi e si inondarono di nuovo di lacrime.
Il fiore accortosi di questi suoi nefasti pensieri, di nuovo replicò:
-Non pensare che è finita, amico mio! Il fungo ormai è qui, è vero, ma come ti dicevo mi tocca conviverci, nel senso che io non sono morto, vivo ancora, e se tu insieme a tutti gli altri terrete quel fungaccio sotto controllo combattendolo ogni giorno, può darsi che le cose andranno meglio, magari non come prima, non sempre, specialmente se qualche volta vi dimenticherete di contrastare il fungo, facendo sì che esso prenda il sopravvento su di me; abbi fiducia, quindi e porta il mio messaggio a tutti quanti.
L’uomo non se lo fece ripetere due volte, ringraziò più volte il fiore per quella stupenda notizia, e andò di corsa da tutta l’altra gente; avrebbe dovuto però, anche se a malincuore, prima confessare il suo misfatto, spiegando il suo pentimento e il perché della misteriosa nascita del fungo.
Questa sarebbe stata la prima grande prova che le circostanze richiedevano, sia all’uomo, sia all’intera comunità.
Lui avrebbe dovuto trovare il coraggio di dire tutta la verità assumendosi le sue responsabilità, e contemporaneamente mostrare a tutti gli altri il suo sincero e puro pentimento.
Gli altri, avrebbero dovuto trovare la forza di perdonare l’uomo, che in fondo era un loro amico e concittadino, non mostrando interesse per una qualsivoglia vendetta, in quel momento perfettamente inutile.
Lo so, era tutto estremamente difficile, ma a volte l’animo umano è ancora capace di sorprenderci!
Il reo confesso poi continuò raccontando quello che gli aveva suggerito il fiore mentre se ne stava sconsolato sul prato, e quale fosse l’unica soluzione da esso stesso suggerita.
L’uomo fu perdonato da tutte le persone, le quali si resero conto che non solo veramente si fosse pentito, ma che aveva anche una gran voglia di darsi da fare più di chiunque altro, per rimediare alla situazione da lui stesso cagionata.
-Vi ringrazio fratelli miei per avermi perdonato, deve esservi costato una gran fatica. -Disse solennemente l’uomo. –Io stesso ancora non riesco a perdonare il mio egoismo; ma giustizia in qualche modo deve essere fatta: io sono stato la cagione di tanto dolore e devo subire una qualche punizione! Questo, credetemi, mi ristorerà anche nel mio animo afflitto dalle colpe. –Concluse quindi sommessamente.
Tutti quanti giudicarono le parole dell’uomo lodevoli, e reputarono fosse giusto acconsentire a quello che avesse richiesto per sé.
Decretarono infatti, che lui proprio fosse il primo responsabile nel sorvegliare e curare il fiore, finché ne avesse avuto la forza e le capacità.
L’ uomo accettò di buon grado la decisione presa da tutti gli altri, anzi, ne fu quasi felice; più che una punizione, gli sembrava di ricevere un premio, ossia la possibilità col tempo, di espiare il suo comportamento poco ortodosso.
E tutto andò come il fiore disse: si alternarono i periodi vigili, in cui il fungo veniva tenuto ben sotto controllo lasciando il fiore primeggiare, a quelli distratti, in cui il fungo incontrastato per la pigrizia umana, prendeva il sopravvento.
Comunque quel giorno in quel bel prato, accanto al fiore di “ogni bene”, infastidito dal fungo dell’”egoismo”, germogliò la piantina della “speranza”.

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