IL MENESTRELLO DEL ROCK




Tra musica e letteratura esiste da sempre un legame strettissimo, fatto di reciproche influenze e ispirazioni, e non solo. L’una ha sempre accompagnato l’altra e viceversa. Ci basta voltarci indietro nella storia per accorgerci che sin dall’antichità tra le due vi è stata sempre un’intensa correlazione, a volte creando un binomio indissolubile, L’esempio che per primo possiamo citare, in quanto anche ben documentato, è quello dell’antica Grecia; non è un caso che la poesia cantata dai greci prendesse il nome di mousike. Poi potremo citare ancora l’Ars nova del madrigale e della ballata, la “poesia per musica” del 300, la “canzone” descritta nel Convivium dantesco, per poi approdare più tardi, tra 500 e 600, al fenomeno culturale del melodramma e successivamente all’Opera, al Romanticismo e alla canzone popolare. Non dimentichiamo neanche le liriche provenzali cantate e accompagnate musicalmente con l’ausilio di uno strumento, o i cantastorie menestrelli che hanno intrattenuto con la loro arte innumerevoli personaggi dentro e fuori le corti. Ed è proprio di un menestrello dei nostri tempi quello di cui voglio parlare. Egli può rappresentare in modo lampante questo speciale legame tra musica e letteratura, non solo per il soprannome che da anni lo contraddistingue, ma anche perché recentemente si è fregiato proprio del Premio Nobel per la Letteratura. Naturalmente sto parlando del menestrello del rock, unico e solo Bob Dylan. Nella motivazione del premio, il comitato dei Nobel si sarebbe espresso così: “…Ha creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della musica americana”. Dylan riesce infatti a inventare un genere nuovo, fondendo tradizione e innovazione: il folk-rock.

Nasce il 24 maggio del 1941 a Duluth, nello stato del Minnesota, e mostra da subito il suo talento musicale e la sua indole ribelle e anticonformista, scappando di casa a soli 10 anni alla volta di Chicago. Dylan è precoce in tutto: a 15 anni suona nei Golden Chords e conosce Echo Hellstrom, la 'Girl From The North Country' di qualche anno dopo, con la quale divide amori e passione per la musica. Quindi nel 1959 lascia Chicago e va a Minneapolis, dove frequenta l'università e suona nei locali di Dinkytown, il sobborgo intellettuale della città. Al Ten O'Clock Scholar, un locale poco distante dall'università, si esibisce per la prima volta con il nome di Bob Dylan, che come lui stesso ha dichiarato nella sua biografia ufficiale, non ha nulla a che vedere con il poeta gallese Dylan Thomas. Il cantante non ha mai chiarito però l'origine di questo nome, diventato legale dall'agosto 1962.

Da quel momento inizia a girare l'America da solo e senza un soldo, facendo musica. Cosa che gli vale il soprannome di menestrello. Il suo idolo è Woody Guthrie. Nel '59 trova lavoro in un locale di striptease dove deve intrattenere il pubblico con le sue canzoni tra un'esibizione e l'altra. Ma non è apprezzato dal pubblico, i suoi testi non sono adatti a camionisti o cowboy che lo fischiano.

Nell'autunno del '60 Guthrie si ammala e Dylan coraggiosamente, va a trovarlo nell'ospedale del New Jersey dove è ricoverato, poverissimo e abbandonato. Da quel momento nasce un'amicizia tra i due che porta Dylan a sviluppare uno stile musicale diverso da quello di Guthrie, meno puro, criticato dai sostenitori del folk tradizionale, ma che vira verso il rock, che in quegli anni cominciava da affacciarsi nel panorama musicale Usa. Dylan nel 1961 registra il suo album d'esordio, 'Bob Dylan', pubblicato nel marzo del 1962. Una raccolta di brani tradizionali per voce, chitarra e armonica. Due sole le canzoni originali scritte da Dylan: 'Talkin' New York' e l'omaggio a Guthrie, 'Song To Woody'. Da quel momento inizia a scrivere canzoni destinate a diventare veri e propri inni dei militanti per i diritti civili, brani di protesta come 'Don't think twice it's all right', 'Masters of War' e soprattutto 'Blowin' in the wind'. Il resto è storia.

Dylan, che si afferma come esponente del movimento di protesta amaricano, nei suoi testi, fortemente influenzati dalla letteratura e dalla storia americana, affronta in modo innovativo temi politici, sociali e filosofici, sfidando le convenzioni della musica pop e allineandosi alla controcultura del tempo. Un esempio su tutti, di quella influenza e contaminazione letteraria nei testi di Dylan, è la sua “Ballad of thin man”, nella quale cita uno dei colossi della letteratura nordamericana, Francis Scott Fitzgerald. Oltre a questo esempio, potremmo dire di palese ispirazione alla letteratura, bisogna tener presente che la musica di Dylan, nella sua evoluzione della musica popolare, è una musica d’autore caratterizzata da una moderna vena poetica.

Nella sua sperimentazione musicale egli fonde insieme folk, country, gospel, soul, e cita le ballate liriche inglesi oltre alla musica popolare scozzese e irlandese. Ricordiamo che quest’uomo entrato nel mito, prima del nobel, nel 2008 già ci aveva stupito ricevendo il Pulizer come cantautore più influente dell’ultimo mezzo secolo. Ma forse l’episodio che più ricorderemo, anche con una leggera smorfia di sorriso, sarà la sua esibizione del ’97 davanti a Papa Giovanni Paolo II, durante la Conferenza Eucaristica Mondiale a Bologna; alla fine Dylan si tolse la chitarra, si diresse verso il Pontefice e fece un breve inchino. Per l’occasione Woytila, davanti a una folla di duecentomila persone, fece un sermone basato sul testo di “Blowin in the wind”, forse la più poetica delle canzoni di Dylan.  


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