UN RACCONTO SENZA TEMPO


Quel gran genio di Tim Burton che riesce a parlarci attraverso la sua fiaba cinematografica, direi quasi una pellicola incantata, di diversità, difficile integrazione, emarginazione e disadattamento.
Un racconto per l’appunto tra il noir e il rosa, che può ricordare vagamente sia un romanzo gotico come “Frainkstein” di Mary Shelley, ispiratore di innumerevoli pellicole, sia la leggendaria storia de “La Bella e La Bestia”; entrambe queste storie evocano la paura del diverso, etichettato a volte come mostruosità abnorme, l’incapacità della maggioranza di poterlo accettare, se non guardandolo col filtro dell’amore, quello che sa andare oltre le apparenze, oltre i pregiudizi, che sa guardare dentro a quell’ipotetico mostro e trovarci una creatura con le stesse proprie potenzialità e sentimenti.
Anche se il film di Burton di cui sto parlando, “Edward mani di forbici” uscito nel lontano 1990, con un indimenticabile Johnny Deep, non incassò poi tanto ai botteghini, si guadagnò il grande plauso della critica, che addirittura lo identificò come la migliore pellicola del regista.

La trama per sommi capi: un giorno, una rappresentante va a proporre i propri prodotti cosmetici allo strano inquilino di un maniero in stile gotico. Conosce così Edward, creatura di un inventore (Vincent Price) che dopo la morte di quest'ultimo è rimasta in balia della solitudine. Il ragazzo al posto delle mani ha delle enormi forbici. La donna cercherà di farlo entrare in società, portandolo a casa propria, e qui scatta anche l’attacco di Burton verso il quadro della borghesia americana; per fare integrare il ragazzo la donna sfrutterà anche la scoperta della sua bravura come decoratore di aiuole prima, e "parrucchiere" poi; ma il baratro che divide la gente normale dalla persona "diversa" renderà tutto difficile.


Edward incarna l’introverso, il solitario, dotato di qualità e sensibilità eccezionali; chiuso nel suo mondo, sogna di uscirne per potersi relazionare con quello esterno.
Ma varcare la soglia per lui non è semplice; la sua intensa vita interiore lo ha portato all’isolamento e la sua diversità portata nella società spaventa, inorridisce, generando odio e violenza.
Ma la sua diversità è soprattutto fisica, dovuta alle forbici, segno della sua incompiutezza e simbolo dell’impossibilità di comunicare, di avere contatti umani.
Tuttavia questo handicap si rivela per Edward una risorsa, per la sua abilità nell’intagliare. Egli si afferma con la sua creatività, col fare arte. L’incontro con Edward produce negli altri diverse fasi di reazione: prima l’attrazione curiosa; poi lo sfruttamento; infine il rifiuto e l’espulsione.
La società giunge a voler cancellare la diversità giacché la vede come pericolosa per i propri equilibri. Così Edward torna a chiudersi nel mondo da cui è venuto. Ma continuerà a tagliare blocchi di ghiaccio, a far scendere la neve sulla città, a mantenere un contatto, sia pure labile, con il mondo esterno.


Anche l’amore in questo caso non saprà da solo abbattere quel muro; per Edward con quelle lame è impossibile fare una carezza o abbracciare la ragazza di cui ricambiato si innamora. Edward in quel mondo potrà vivere solo ai margini, relegato al suo ruolo di fenomeno da baraccone, artista stravagante ma mai essere umano.
Il regista ci mette davanti alle contraddizioni del nostro tempo, in cui una realtà borghese, non solo non sa adoperarsi per un’autentica integrazione, ma spesso fa perdere ogni speranza anche nel diverso stesso che vuole e prova a varcare la soglia.
Edward mani di forbice rappresenta la volontà di adeguarsi e di imparare le regole basilari di convivenza (nel film sconosciute al ragazzo diverso), che si scontra con la mancanza di una vera comunicazione tra i due mondi (quello del diverso e quello dei “normali). 


L’immagine poetica della neve che scende (all’inizio del film l’incipit della narrazione sarà dato proprio da una bambina che chiede a sua nonna il perché del cadere della neve), oltre che essere il segno che Edward esiste ai margini, vorrebbe far intendere il suo desiderio di restare comunque legato a quel mondo che non ha potuto e saputo accoglierlo, con quel dono candido e gioioso per il suo amore impossibile.

Commenti