NOI CHE FACCIAMO?



Noi che facciamo?

Rocco Scotellaro nacque a Tricarico, in provincia di Matera nel 1923 da genitori contadini. Autodidatta, fu eletto sindaco socialista del suo paese a 23 anni. Fervido combattente per la rinascita del mondo contadino fu anche ricco di una schietta vena poetica e di scrittura.

Dopo aver partecipato con i braccianti alla occupazione delle terre, si stabilì a Portici per lavorare presso l’Istituto Agrario e lì morì a soli 30 anni, nel 1953. Tra le sue opere ricordiamo: È fatto giorno (Premio Viareggio); Contadini del Sud; L’uva puttanella, romanzo autobiografico che prende il titolo da una specie di uva che non giunge mai a maturazione come i contadini del Meridione, i quali proprio per questo, non possono dare l’apporto che dovrebbero alla vita del Paese.

La poesia che segue è una di quelle che denunciano la miseria e l’arretratezza del Mezzogiorno e l’oppressione cui i contadini sono sottoposti da secoli, dalla classe padronale.



Ci hanno gettato la croce addosso i padroni

per tutto ciò che accade e anche per le frane

che vanno scivolando sulle argille.

Noi che facciamo?

All’alba stiamo zitti

nelle piazze per essere comprati,

la sera è il ritorno nelle file

scortati dagli uomini a cavallo,

e sono i nostri compagni la notte

coricati all’addiaccio con le pecore.

Neppure dovremmo ammassarci a cantare,

neppure leggerci i fogli stampati

dove sta scritto bene di noi!

Noi siamo i deboli degli anni lontani

quando i borghi si dettero in fiamme

dal castello intristito.

Noi siamo figli dei padri ridotti in catene.

Noi che facciamo?

Ancora ci chiamiamo

fratelli nelle Chiese

ma voi avete la vostra cappella

gentilizia da dove ci guardate.

E smettete quell’occhio

smettete la minaccia,

anche le mandrie fuggono l’addiaccio

per qualche stelo fondo nella neve.

Sentireste la nostra dura parte

in quel giorno che fossimo agguerriti

in quello stesso Castello intristito.

Anche le mandrie rompono gli stabbi

per voi che armate della vostra rabbia.

Noi che facciamo?

Noi pur cantiamo la canzone

della vostra redenzione.

Per dove ci portate

lì c’è abisso, lì c’è il ciglione.

Noi siamo le povere

pecore savie dei nostri padroni.



                          (da È fatto giorno, Mondadori, Milano)



Rocco Scotellaro denuncia i padroni, i quali non vogliono e non sanno adeguarsi ai tempi nuovi; l’orgoglio della razza, l’istinto di dominio assoluto caratterizzano il loro comportamento e risultano strettamente legati al motivo economico e, quindi, allo sfruttamento dei dipendenti. Tali atteggiamenti sono scomparsi ai giorni nostri…?

Anche i padroni di oggi, non accettano un mondo che va cambiando o se lo accettano lo fanno solo per sfruttarlo economicamente? Quale giudizio è possibile formulare su questi uomini che non vogliono rinunciare a sfruttare la massa di umili e bisognosi?

Possono definirsi anche questi, in fondo, atteggiamenti razzisti?

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