INVICTUS: LA FORZA E LA LIBERTA' DI AUTODETERMINAZIONE



Invictus



Dal profondo della notte che mi avvolge

buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,

ringrazio qualunque dio esista

per l'indomabile anima mia.



Nella feroce morsa delle circostanze

non mi sono tirato indietro né ho gridato per l'angoscia.

Sotto i colpi d'ascia della sorte

il mio capo è sanguinante, ma indomito.



Oltre questo luogo di collera e lacrime

incombe solo l'Orrore delle ombre

eppure la minaccia degli anni

mi trova, e mi troverà, senza paura.



Non importa quanto sia stretta la porta,

quanto piena di castighi la vita.

Io sono il padrone del mio destino:

io sono il capitano della mia anima."



William Ernest Henley

Questa poesia è per lo più sconosciuta al grande pubblico, ma rimane nella memoria di quanti hanno visto il film su un episodio in particolare della vita di Nelson Mandela, ovvero quando divenuto presidente del Sud Africa all’indomani della sua scarcerazione, cercò di unire il popolo ancora disunito per il triste retaggio dell’Apartheid, con l’amore per uno sport, il Rugby. Quell’anno il trionfo della squadra sudafricana fu festeggiato da tutti, ma proprio tutti, proprio come voleva Mandela. Quanto mi piace questo ruolo in cui può giocare uno sport, ma che purtroppo da anni rimane scoperto.

Ebbene, dicevamo che questo componimento poetico quasi caduto nel dimenticatoio, ha finalmente avuto un po' di quell'attenzione che si merita dopo l'uscita dell'omonimo film Invictus diretto da Clint Eastwood nel 2009, con l'interpretazione impeccabile di Morgan Freeman nei panni del leader sudafricano.

La pellicola, dicevamo, racconta la storia della nazionale di rugby sudafricana, chiamata a vincere i mondiali del 1995 che in quell'anno si svolsero proprio in Sud Africa, con la speranza che così si sarebbe potuto riunire e cementare un Paese diviso dagli odii e dalle violenze razziali attorno ad un sogno che potesse essere comune all'intera comunità nazionale. Il film prende appunto il titolo dalla poesia che Nelson Mandela consegnerà al Capitano della squadra di rugby, poesia che per egli stesso era stata fonte di ispirazione, per infondere coraggio e fiducia a lui ed alla squadra in preparazione di un'impresa che appare disperata ed impossibile; le parole della poesia vengono però pronunciate in una scena molto significativa del film che, tuttavia, non è riferita allo sport: il capitano della squadra di rugby è in visita al carcere dove il vecchio regime deteneva i prigionieri politici neri ed entra nella cella di Nelson Mandela e qui, mentre scorrono le immagini delle sofferenze e delle privazioni che Mandela aveva subito durante i lunghissimi anni della prigionia, risuonano le parole della poesia che avevano aiutato il prigioniero a restare in vita, inno alla lotta contro le brutture e le umiliazioni della vita.



Ma ora veniamo alla poesia, che è stata scritta da William Ernest Henley, poeta inglese della seconda metà dell'Ottocento. L'autore era affetto da una tubercolosi che aveva provato e deformato il suo fisico tanto che all'età di venticinque anni i medici avevano dovuto amputargli una gamba. La poesia è stata, quindi, scritta da un uomo che avrebbe avuto titolo per rientrare tra i vinti della vita, ma che invece dichiara di essere invinto, avendo opposto alle avversità la propria (invincibile) forza d'animo e la libertà di autodeterminare il proprio io.



La prima strofa è una preghiera e forse anche una professione di fede: Henley riconosce l'esistenza di un'anima, di una soggettività morale diversa dal proprio corpo abbruttito dalla malattia; un'anima che non può essere domata dalle sofferenze fisiche e dalle umiliazioni che gli uomini e la sorte gli riservano. Di questo dono straordinario (uno dei pochi che la vita gli avesse dato, ma sicuramente il più importante) ringrazia Dio, riconoscendone così anche l'esistenza, sul presupposto che l'esistenza di un'anima indomabile, nonostante gli eventi e le tragedie della vita, è connessa all'esistenza di una divinità che dona all'uomo l'anima ed insieme ad essa la libertà, concedendogli così la straordinaria forza di resistere alle inumane leggi della natura.

Non è un caso che questa preghiera venga pronunciata di notte (Dal profondo della notte è l'incipit della poesia): la notte è la metafora dell'abbandono e del senso di smarrimento del poeta. Ed è proprio nel silenzio e nella solitudine, quando tutto sembra perduto, che l'uomo riscopre il fondamento ultimo della sua esistenza, la sua libertà.

La seconda e la terza strofa narrano della lotta del poeta contro le avversità della natura e della malattia. Il lessico è quello di una battaglia cruda (capo sanguinante, colpi d'ascia, collera, lacrime) la quale viene e verrà combattuta con dignità e coraggio, senza arretrare né darsi per vinto, nonostante l'esito sia scontato (oltre questo luogo ... incombe solo l'orrore delle ombre). Si tratta di una lotta tremenda ed impari che segna il corpo del poeta, ma non ha la meglio sull'anima che si fa e si farà trovare sempre pronta a rispondere colpo su colpo.

L'ultima strofa è un inno al libero arbitrio ed alla autodeterminazione dell'uomo. Il poeta non sa quante altre sofferenze, quante nuove prove ed umiliazioni gli opporrà la vita: tutto questo è oscuro, ignoto, indeterminabile e tutto sommato non importa.

Ciò che conta è che Egli è e sarà padrone di sé stesso e libero di scegliere di non arrendersi e non piegarsi, essendo il solo condottiero della sua anima.


E così, sembra dire Henley lanciando un messaggio universale, anche se gli eventi della storia sono in balia del caso o del capriccio degli uomini ed appaiono terribili, in questo oceano esiste una piccola isola, per l'appunto l'animo umano, in grado di opporvi una strenua e fiera resistenza, così da permettere ad ogni essere umano di acquistare libertà e dignità ed essere, appunto, INVICTUS. Sono il padrone del mio destino il capitano della mia anima.

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