IL PADRE DELLO STORICISMO




Giambattista Vico
Napoli è sempre stata sede di menti geniali, filosofi e scienziati che però in vita non hanno mai ricevuto il giusto compenso che avrebbero meritato. Gianbattista Vico è una di questi, infatti la sua brillantezza intellettuale non fu compresa dai suoi contemporanei, cosicché egli visse in povertà ed inoltre fu quasi ignorato dall’ambiente intellettuale dell’epoca. È nato il 23 giugno 1668, in un umile casa in San Biagio dei Librai, via centrale del decumano inferiore di Napoli, dove troviamo ancora oggi una targa commemorativa in suo onore. È lo stesso vico a raccontarci la sua storia nella sua autobiografia del 1728, non disponendo noi di altre fonti. Animo curioso e vivace durante la sua infanzia a seguito di una grave caduta, subisce una frattura al cranio che lo allontana dalla scuola per tre anni e ne cambia il carattere, rendendolo taciturno e depresso. Nonostante la diagnosi dei medici, la sua intelligenza non fu scalfita dall’incidente e intraprese gli studi di grammatica presso i gesuiti che abbandonò per conseguire studi privati sino a che, per soddisfare e volere del padre, modesto libraio, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Egli non frequentò le lezioni, ma conseguì la laurea all’Università di Salerno, nel 1693 e si specializzò in Diritto ed Economia. A seguito di tali studi, sviluppò un interesse specifico per il diritto nella storia dell’uomo da cui scaturì la sua peculiare filosofia. Egli era favorevole ai pensieri di Leibeniz, Galileo, Bacone e Cartesio, sebbene avesse dei punti di disaccordo con quest’ultimo. Gianbattista era interessato alla dimostrazione scientifica della storia, infatti nella sua celeberrima opera “La Scienza Nuova” egli espone il principio del “verum-factum” secondo il quale bisogna fondare qualsiasi teoria su una priva concreta, principio a sostegno dell’empirismo galileano. A discapito delle sue illustri conoscenze e teorie egli non ricevette gli onori che meritava, nonostante fosse addirittura stato nominato storiografo regio da Carlo di Borbone nel 1732. Con l’avanzare dell’età si ripresentarono i problemi legati alla frattura infantile, che lo portarono alla morte il 20 gennaio 1744. Il Vico può dunque essere considerato tra le menti più brillanti che la città di Napoli abbia mai partorito, nonostante non avesse mai trovato in vita il successo ed il prestigio ricevuto dopo la morte (come molti altri filosofi e scrittori). Vico può essere considerato il padre dello storicismo, secondo il quale la storia non è solo ricostruzione di eventi, ma diventa oggetto di riflessione filosofica. La sua principale teoria riguardante la storia è quella denominata dei “corsi e ricorsi”.  Il ricorso, secondo il Vico, ha luogo quando il dominio della ragione cade nell’astrattezza, quando si ha l’inaridimento del sapere, quando, cioè, si verifica la perdita della memoria del passato. Quando ciò avviene, l’uomo è senza radici e si crede artefice arbitrario della propria storia. Per Vico la storia non è una sorta di sviluppo unilineare e progressivo dove non c’è errore o decadenza o male; per questo la storia non giustifica, ma giudica.
La storia è caratterizzata, secondo Vico, da un andamento progressivo: ma per Vico non è progressivo nel senso che tutto quello che viene dopo sia migliore di quello che viene prima, ma solo nel senso che la storia procede in un modo non meccanico né uniforme verso l’idealità. Secondo Vico, ogni civiltà ha un suo corso fondamentalmente progressivo, il quale, giunto al suo apice, si arresta ed entra in crisi. Principi e stili di vita si indeboliscono e si corrompono. Davanti ad una umanità incapace di crescere e di rinnovarsi, si profila la drammatica prospettiva in quella che Vico chiama la barbarie seconda, che è un regresso (=un ricorso), nel quale si riproducono in larga misura le forme di vita e di comportamento proprie dell’età primitiva. La storia, secondo questa concezione del Vico, non è una galoppata senza involuzioni; né la ragione è destinata per forza a trionfare. La dottrina vichiana è così un severo monito rivolto a chi inclina verso una visione troppo ottimistica dell’umanità e del suo cammino. Pessimismo o invito alla memoria storica?

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