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C’era una volta un muro…

Un muro che divideva, un popolo, una nazione, una città, tante famiglie e amici; poi lo buttarono giù e tutti piansero e si abbracciarono. Tutto il mondo gioì con loro dell’avvenimento, e ora da più parti nel mondo c’è chi quei muri li vuole tirare ancora su, per dividere e separare, ancora una volta, come se non bastassero quelli invisibili che sono riusciti ad innalzare nelle nostre coscienze…


C’è un muro fatto per il pianto, dove si pianse, si piange e forse purtroppo si piangerà ancora per lungo tempo; un muro che piange da solo, mischiando le sue lacrime con quelle di tutta l’altra gente, annaffiando quella triste terra che non trova mai pace, dove i germogli continuano ad essere germogli…



Ci sono muri costruiti per difesa, attorno a nuclei abitativi, per proteggersi dal nemico, o eretti per fare avvistamenti, dove stanche sentinelle cullavano pensieri e noia, in attesa di attacchi e di battaglie che nessuno di loro aveva mai chiesto…



Poi ci sono i muri delle strade, custodi di messaggi d’amore, maltrattati da frasi sconnesse e a volte violente; i muretti raduno di giovani comitive, che si prestano a far da bancone a due bottiglie di birra, che forse resteranno svuotate lì tutta una notte.


Muri grigi spenti di periferia, avamposto di ragazzini che tirino due calci ad un pallone e di altri che i calci li tirano alla loro vita; mura sacre di cultura, che cercano ma non trovano protezione da vandali in borghese o in divisa.

Mura che raccontano storie impercepibili o che vogliono raccontarne di nuove; mura che chiedono colore che non le faccia ingrigire di solitudine; mura sempre guardiane, di un focolare, di una stalla, o di un Mercedes.



Qualcuno ha accettato la sfida e ha rinvigorito i muri stanchi di paesini e periferie trascurate, facendo loro una carezza di espressività piena di sentimento.



Io ho visto gli strepitosi murales dell’artista internazionale Jorit nella periferia della mia città natale, quelli di Furore, il “paese dipinto incastonato in uno strapiombo della costiera amalfitana, quelli che stanno iniziando a popolare anche un quartiere periferico della città nella quale attualmente vivo, ma mi compiaccio, essendo a favore di tutte le forme d’arte, che l’Italia e il mondo intero siano pieni di queste libere e immediate forme di espressione artistica.


Una realtà che mi è stata fatta apprezzare anche nelle mie prossime vicinanze, perché a volte non c’è bisogno di andare lontano per scoprire cose particolari, magari accorgendosi che si aveva a portata di mano proprio quello che si stava cercando.

Così ieri con altri out sider come me, mentre tutti erano al mare a prendere una sana tintarella, mi sono diretta verso la montagna; direzione Matelica, destinazione Braccano.


Trattasi appunto di una frazione montana di Matelica (MC) di 150 abitanti; il paesino, dagli scorci suggestivi, ha scelto di farsi adornare dalla creatività di questi artisti, che sono sempre alla ricerca di una bella parete da amare…e non da imbrattare. Sì, perché loro entrano in uno stretto rapporto con quel muro, come un pittore con la sua tela o uno scultore col suo blocco di pietra; così amano tanto quel muro, da regalargli una parte di sé, che noi tutti potremo liberamente ammirare. Un’ arte più democratica di così!


Se qualcuno vuole conoscere anche la storia vecchia che raccontano quelle mura di case ammassate del raccolto e silente paesino, eccola qua: Braccano fu uno dei tanti teatri in cui andò in scena un rastrellamento tedesco durante la seconda guerra mondiale.


Nel territorio di Esanatoglia e Matelica operavano tre gruppi partigiani: il gruppo “Roti”, il gruppo “San Fortunato” e il gruppo “Eremita”. Nel corso dei mesi arrivarono a controllare militarmente tutta la parte occidentale del monte San Vicino e svolsero anche molte azioni di disturbo contro tedeschi e fascisti, la cui reazione non si fece attendere.

Nella primavera del ’44 fu programmata una massiccia operazione di rastrellamento, proprio con l’intento di stanare i partigiani nascosti sul San Vicino. La manovra comprendeva l’accerchiamento di Frontale, Elcito, Valdiola, Roti e Braccano, quest’ultima ritenuta sede del comando partigiano. All’alba del 24 marzo le forze nazifasciste che contavano sui 2.000 uomini, tra SS tedesche e italiane, alpini della divisione tedesca “Brandenburg”, militi del battaglione M “IX Settembre” e forze della GNR provinciale, si diressero, divise in colonne e per strade diverse, verso la zona prescelta. La prima località ad essere occupata fu la frazione di Braccano. Da lì, molti reparti tedeschi si dirigeranno alla volta di Roti, dove i partigiani del gruppo “Mario”, coadiuvati dai gruppi “Porcarella” e “Cingoli”, difenderanno la zona e contrattaccheranno. Verso le 13 i tedeschi occuperanno Valdiola.

Braccano fu circondata rapidamente dalle forze terrestri e su di essa sorvolavano anche degli aerei tedeschi pronti a comunicare eventuali movimenti sospetti. Quel giorno era presente nella località un esiguo gruppo di partigiani perché tutti gli altri si erano recati nella zona di Poggio San Vicino, dove gli aerei alleati dovevano paracadutare armi e munizioni. La prima vittima tra i partigiani fu il somalo Mohamed Raghè che si trovava di guardia nella località di Vallepiana, oltre Braccano. Quando si accorse che stavano arrivando i nazifascisti, tentò di nascondersi in un bosco ma venne avvistato e crivellato dai colpi delle mitragliatrici piazzate sulle colline circostanti.



Terrorizzati dagli spari, gli abitanti di Braccano scapparono verso Vinano. Con loro c’era anche il parroco don Enrico Pocognoni, attivissimo membro della Resistenza nella zona. Nel mentre che aiutava un suo parrocchiano a mettersi in salvo, fu catturato dai fascisti. Preso a pugni e a calci, fu riportato a Braccano. Gli fu ordinato di togliersi le scarpe e di camminare scalzo, cantando “Giovinezza, giovinezza”. Alla fine, spinto giù per un campo vicino alla scuola fu ucciso da due fascisti con alcune raffiche di mitra. Durante il rastrellamento furono catturati anche tre giovani partigiani: Temistocle Sabbatini, Ivano Marinucci e il somalo Thur Nur. Anch’essi furono picchiati e insultati. Poi, condotti nel campo dove era stato ucciso poco prima don Pocognoni, vennero uccisi anche loro. Intanto i nazifascisti che non avevano proseguito per Roti, perquisirono le case, portando via tutto quello che poteva fargli comodo, e raggrupparono tutti gli uomini, lasciandoli in attesa. Nel pomeriggio, furono scortati nei pressi di un campo di proprietà dei fratelli Bernardini e lì, uno di loro, Demade Lucernoni, venne ucciso dopo esser stato costretto a scavare la propria fossa. Uno ad uno vennero poi interrogati perché rivelassero informazioni sui partigiani. Infine, verso sera, furono rilasciati e rimandati alle loro case.

Tra allegre chiacchiere, tanti colori, qualche riflessione, miagolii e starnazzamenti vari, mi riferisco ai gatti e le oche incrociate per le vie, non equivocate, è passata un’altra domenica mai banale, sempre particolare. Buona settimana!



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