Ricordate
che in un post precedente vi ho parlato dell’antenata, per così dire, di
Cenerentola, ovvero di Zezolla, la protagonista di una delle fiabe del Basile
inserita nel Pentamerone? Se non lo ricordate potete andare a sbirciare se
volete nel post dal titolo Cenerentola gatta morta, altrimenti, continuate
ugualmente con la lettura di questo.
Come
vi avevo anticipato, Giambattista Basile, pseudonimo anagrammatico
di Gian Alesio Abbattutis, nato a Giugliano in Campania il 15 febbraio 1566 ed
ivi morto il 23 febbraio 1632, letterato e scrittore italiano di epoca barocca
e primo a utilizzare la fiaba come forma di espressione popolare in lingua
napoletana, nel suo Lo cunto de li cunti,
overo lo trattenemiento de peccerille, anticipa ispirandole molte altre
fiabe moderne come ad esempio Raperonzolo, anch’essa poi divenuta protagonista
come Cenerentola di una famosa pellicola della Disney.
Pensò
che qui sia superfluo parlarvi di questa fiaba e della sua eroina dai capelli
lunghi e setosi, la cui madre pagò la sua voglia di raperonzoli con la propria
figlia, che fu imprigionata in una torre dalla cattiva di turno. Poi c’è
ovviamente un principe salvatore, le solite difficoltà, e il lieto fine.
Io
oggi voglio parlarvi di Petrosinella, la sua antenata nel Pentamerone del
Basile.
Una
donna incinta di nome Pascadozia, affacciata a una finestra che dava sul
giardino di un’orca, vide una bella aiuola di prezzemolo e ne ebbe tanta voglia
da entrare di nascosto nel giardino per rubarne una manciata.
Tornata
a casa l’orca, se ne accorse e decise di punire la ladra; la sorprese e
l’acchiappò. La poveretta cercò di discolparsi spiegando che era una voglia che
aveva dovuto soddisfare, essendo gravida, per paura che la creatura nascesse
con macchie di prezzemolo sul viso. L’orca promise di lasciarla libera, a patto
che le consegnasse il nascituro, maschio o femmina che fosse. La disgraziata
promise.
Tempo
dopo partorì una bambina bellissima, che aveva sul petto un ciuffo di
prezzemolo. Quando l’orca la incontrava, chiedeva alla bambina di ricordare a
sua madre la promessa. La mamma le rispose che, non appena l’orca le avesse
ricordato la promessa, doveva dirle di prendersela.
Petrosinella,
non sapendo nulla della promessa, riferì quello che aveva detto la mamma.
L’orca la prese. la portò in un bosco e la chiuse in una torre senza porte,
senza scale, con una sola finestrella. Petrosinella doveva mettere fuori dalla
finestrella le sue lunghe trecce, lungo le quali si arrampicava l’orca quando
doveva entrare.
Un
giorno un principe vide quelle belle trecce d’oro e cominciò a conversare con
la giovane. I due si innamorarono e decisero di incontrarsi di notte: lei
avrebbe dato un sonnifero all’orca e lui sarebbe salito arrampicandosi sulle
sue trecce. La cosa si ripeté molte volte: una comare informò l’orca, la quale
fece un incantesimo: Petrosinella sarebbe riuscita a fuggire solo se si fosse
impossessata di tre ghiande, che erano nascoste in cucina.
Petrosinella
capì tutto e, giunta la notte, andò a cercare le tre ghiande, preparò una corda
di spago, scese giù e scappò col principe. L’orca si svegliò e inseguì i due
innamorati. Petrosinella, per difendersi, gettò a terra una ghianda e vide
spuntare un cane terribile che, abbaiando, corse verso l’orca per divorarla, ma
l’orca gettò un pezzo di pane al cane, il quale non la inseguì più.
Continuò
a rincorrere Petrosinella che, vistala avvicinare, gettò la seconda ghianda ed
ecco uscire un feroce leone che corse verso l’orca per sbranarla, ma questa si
ricoprì con una pelle d’asino e corse verso il leone, che, credendola un asino,
ne ebbe paura. Così l’orca continuò a inseguire i due ragazzi. Petrosinella
gettò a terra l’ultima ghianda, da cui uscì un lupo che, trovando impreparata
l’orca, la inghiottì credendola un asino. Così i due giovani raggiunsero il
regno del principe, dove si sposarono e vissero felici.
Comunque,
tanto per la cronaca, ne esiste anche una versione di questa stessa fiaba, di
Italo Calvino dal titolo Prezzemolina, inserita in una raccolta di fiabe che l’autore
scrisse proprio per i più piccoli, naturalmente molto più soft e meno cruenti
delle versioni precedenti, che parlandoci chiaro non credo fossero state
scritte propriamente per l’infanzia, ma se lo erano, non seguivano certamente
le metodologie pedagogiche moderne.
Ricordo
ancora quando mia nonna mi cantava le sue ninna nonne:
Nonna, nonna
e fa la nonna e
fa la nunnarella,
ca ‘o lupo s’ha
mangiat’ ‘a pecurella.
E pecurella mia
comme farraje
quanno ‘mmocca
a lu lupo te truvarraje?
E pecurella mia
comme faciste
quanno ‘mmocca
a lu lupo te veriste?
E pecurella mia
comme campaste
quanno ‘mmocca
a lu lupo te truvaste?
Che infanzia di m……!
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