Una delle cose che le rendevano più
sopportabili quelle giornate da reclusa, sembra strano a dirsi, erano i
funerali. Proprio così, i funerali.
Il motivo è presto spiegato: alle
suore del collegio ogni volta che si doveva provvedere ad allestire un corteo
funebre, venivano richieste delle orfanelle da mettere dietro il carro del
defunto. Queste dovevano seguire il corteo pregando ininterrottamente, quasi a
creare un sottofondo alla processione. Naturalmente le bambine non erano sempre
le stesse, ma venivano scelte volta per volta, e ogni volta che toccava ad
Antonia le procurava un gran sollievo. Era l’unica opportunità per lasciare
l’odiato istituto, uscire da quelle anguste mura e passeggiare all’aria aperta.
Si trattava pur sempre di un
funerale, è vero, ma nella condizione in cui si trovava, appariva come una
festa da cogliere al volo per svagarsi.
Quella bambina, come le sue altre
compagne di collegio, aveva imparato a gioire per la morte di qualcuno, non per
crudeltà, ma per il semplice motivo che una morte portava un funerale, e un
funerale poteva portare quell’ora d’aria tanto agognata. Anche lei si doveva
accontentare…delle briciole.
Oltre a queste lucubri passeggiate,
c’era anche la visita domenicale di sua madre, che la piccola aspettava con
ansia tutta la settimana.
Vittoria passava tutto il suo unico
giorno libero con la figlia e le portava sempre qualche regalo, una bambola, un
gioco o dei dolci; sapeva che la sua bambina era golosissima.
Il suo dolce preferito era il babà
con la panna, che Vittoria le comprava in una pasticceria proprio vicino al
collegio; vedere quella bambina mangiare di gusto quel dolce che le portava la
madre era uno spettacolo!
Le sue piccole labbra fragoline
sprofondavano in quella soffice nuvola di panna, come per perdersi nella
dolcezza di quei sapori.
La domenica con sua madre
trascorreva troppo veloce per i suoi gusti, lei che invece avrebbe voluto bloccare
il tempo, o almeno farlo andare molto lentamente.
Lunghe passeggiate al mare,
pomeriggi a giocare al parco, poter riabbracciare gli amati nonni; tutto questo
le riempiva il cuore di un enorme gioia, che le avrebbe dato la forza per
tirare avanti in quella che per Antonia era la sua prigione, un’altra settimana
in attesa di un nuovo giorno di festa.
Proprio nulla riusciva a piacerle di
quel posto, fatto solo di ordini e punizioni; pulire, lavare, spazzare, questi
erano solo alcuni esempi delle mansioni affidate a tutte le bambine e ragazze
del collegio, e se non adempivano bene ai loro doveri, erano dolori.
Lo studio e il catechismo, che per
Antonia erano le attività più piacevoli e rilassanti, col tempo divennero
pesanti anche per lei, che era sempre esausta per le mille cose da fare.
Del resto, una volta presa la
licenza elementare, ovvero la scuola dell’obbligo di quei tempi, nell’istituto
non vi era più niente da studiare, nel senso che non dava la possibilità di
proseguire negli studi successivi al suo interno.
Logicamente per Giampaolo fu tutto
diverso; dopo aver frequentato la scuola elementare privata del suo quartiere,
potette proseguire a studiare coltivando tutte le sue aspirazioni e i suoi
interessi.
Lui era figlio di gente benestante,
e come minimo si sarebbe diplomato, che per l’epoca era già tanto.
Comunque la famiglia gli avrebbe
dato sempre la sicurezza e la tranquillità di poter scegliere in libertà cosa
volesse fare; infatti il ragazzo per un po’ ebbe il pallino della musica e
volle studiare pianoforte.
A lui bastò chiedere, che subito il
padre gli mise un maestro privato che gli desse lezioni di musica e pianoforte.
Anche se dopo cinque anni smise di prendere lezioni perché gli era passata la voglia,
questo stava comunque a significare che Giampaolo era abituato a fare sempre
quel che voleva, senza alcun minimo sforzo o costrizione.
A lui era toccato il retaggio dei
Signorelli, almeno come stile di vita, anche se non avrebbe mai saputo di possederlo.
Non si può certamente dire che per
Antonia, rinchiusa in quel collegio, fosse la stessa cosa. Lei era una Selvaggi
in piena regola, pronta a sacrificarsi, vittima di tutti i tiri mancini che le
tirava la sorte.
Estratto dal mio romanzo "L'inatteso" clicca qui
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