IPAZIA, MARTIRE DEL PENSIERO LIBERO



Mi sono addentrata nello studio di un altro affascinante personaggio femminile della storia che mi ha da subito incuriosito, per cui ho voluto approfondire.

"Se mi faccio comprare, non sono più libera, e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera" (Ipazia, in Ipazia Vita e sogni di una scienziata del IV secolo).

Non sono poi tante le donne che hanno avuto la possibilità di distinguersi nella scienza (e purtroppo non solo nella scienza), considerata, fino a non molto tempo fa, appannaggio esclusivo del mondo maschile. Molte hanno dovuto pagare con la vita questa loro passione, quasi fosse una colpa della quale vergognarsi: una donna che con le sue ricerche potesse superare o peggio inficiare i risultati ottenuti dai colleghi maschi, era ritenuta una presuntuosa da relegare in un angolo.

La fama contemporanea circa la figura di Ipazia sembra essere dovuta principalmente alla sua tragica morte, avvenuta nel 415 d.C, per i motivi accennati.

Ipazia d’Alessandria, è ancora oggi un simbolo della libertà di pensiero, a più di 1600 anni dalla sua uccisione. Donna di enorme cultura, nonostante l’assenza di suoi scritti, altri filosofi del tempo ne parlano come una delle menti più avanzate esistenti allora.

Le notizie sulla vita di Ipazia sono alquanto scarse: le due principali fonti antiche sono la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, avvocato presso la corte di Costantinopoli e contemporaneo di Ipazia, e gli scritti di Damascio, filosofo neoplatonico vissuto un secolo più tardi. A ciò si aggiunge il fatto che gli scritti di Ipazia sono andati perduti probabilmente a causa di uno dei tanti incendi che distrusse la biblioteca (c’è incertezza fra gli storici ma la distruzione della Biblioteca Alessandrina potrebbe essere avvenuta proprio durante la vita di Ipazia, nel 400), o incorporati in pubblicazioni di altri autori.


Ipazia nacque intorno al 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto e venne avviata dal padre, Teone di Alessandria, allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Egli stesso nell’intestazione del III libro del Commento al Sistema matematico di Tolomeo scrive: “Commento di Teone di Alessandria al III libro del sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”.

La principale attività di Ipazia fu la divulgazione del sapere matematico, geometrico e astronomico. Oltre a questi ambiti del sapere scientifico si dedicò, a quanto pare diversamente dal padre, anche alla filosofia vera e propria, relativa a pensatori come Platone, Plotino (fondatore del Neoplatonismo) e Aristotele.

Ipazia succedette al padre nell’insegnamento presso il Museo di Alessandria d’Egitto già dal 393. Ipazia grande studiosa dunque, ma, ed è questo l'aspetto più significativo, anche insegnante.

Oltre a tradurre e divulgare molti classici greci (è grazie a lei ed al padre se le opere di Euclide, Archimede e Diofanto presero la via dell’Oriente tornado poi in Occidente moltissimi secoli dopo), insegnò e divulgò fra i suoi discepoli le conoscenze matematiche, astronomiche e filosofiche all’interno del Museo di Alessandria, che a quel tempo era la più importante istituzione culturale esistente. Nota era pure la sua bellezza tanto che uno dei suoi allievi si innamorò di lei, ma Ipazia non si sposò mai e all'età di 31 anni assunse la direzione della Scuola neoplatonica di Alessandria.

Filostorgio, storico della Chiesa, afferma che la donna “introdusse molti alle scienze matematiche”: sua caratteristica principale fu infatti la generosità con cui tramandava pubblicamente il sapere tanto che ella divenne un'autorità e un indiscusso punto di riferimento culturale nello scenario dell'epoca.



Socrate Scolastico scrive che per la sua straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale. Ipazia era amata dal popolo poiché non fu mai gelosa del proprio sapere, ma sempre disposta a condividerlo con gli altri, e al contempo era rispettata da molte autorità cittadine.

Filosofa e scienziata, scopritrice e studiosa, Ipazia riuscì a ottenere un forte peso politico e culturale in un’epoca in cui le donne non avevano la possibilità di distinguersi nella scienza. Nella Vita di Isidoro, scritta 100 anni dopo i fatti narrati, Damascio scrive: «Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione [il Cristianesimo], passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare».

Piccola parentesi storica; quando l’Impero Romano si trovò sull’orlo del precipizio, pronto a cedere sotto la spinta dell’ala violenta del Cristianesimo, l’unica soluzione fu un’alleanza. Unendo la Chiesa e l’Impero i Cristiani non furono più soggetti alle persecuzioni, perché le grandi menti della Teologia come Ambrogio, Agostino e Giovanni Crisostomo, vennero affiancate da personalità crudeli e feroci come Cirillo e Pietro il Lettore. Questi uomini si macchiarono di delitti atroci, come il rogo della Biblioteca di Alessandria, che costò all’umanità 1200 anni di sapere e di scoperte, oltre che l’uccisione di molti giovani studiosi delle accademie sparse per il territorio ellenico e non, tra cui Ipazia stessa. Oltre a ciò riuscirono a corrompere vari magistrati e figure di spicco perché togliessero fondi e spazi alle scuole di pensiero, perché denunciassero tutti coloro che leggevano e studiavano Platone, Aristotele, Democrito Anassagora, Pitagora… Piegarono al loro volere, con la minaccia della dannazione eterna, i pochi che non si fecero corrompere.

Particolare della Scuola di Atene di Raffaello
Ma sul loro cammino c’era lei, una donna, una scienziata, libera dai dogmi di qualunque religione, libera dagli obblighi imposti alle donne del suo tempo. Un’offesa inaudita per la Chiesa Romana. Una donna che osa insegnare, privilegio esclusivo degli uomini, e che veste come un uomo! Ora ci scandalizziamo se vediamo un uomo che veste come una donna o una donna che vuole diventare un uomo. Ipazia già lo faceva le IV secolo d.C. Alla fine delle lezioni, prima di ritirarsi per la sera e continuare lo studio delle stelle, tornava a casa, indossava il tribòn, il mantello dei filosofi uomini, e usciva in strada per parlare con la gente. A chi le chiedesse consiglio oppure volesse conoscere i filosofi e le loro teorie lei rispondeva. Insegnava non più ai suoi allievi, ma al popolo in modo che potesse capire e non farsi ingabbiare in rigidi schemi e dogmi. Voleva che il popolo alessandrino e greco in generale, fosse un popolo di pensiero, in grado di comprendere e migliorare la propria città con le proprie forze, senza dover pregare un dio che mai sarebbe venuto a rimpinguare le casse della città ne, tantomeno, a difenderne le mura.

S. Agostino, suo compagno di studi, rinnega gli insegnamenti ricevuti a favore della buona novella, indicando Ipazia come una donna impura, perché non dedita al compito che il dio di Agostino le aveva assegnato, moglie e madre. Ambrogio la redarguisce affermando che, in quanto donna, non poteva pensare di porsi sul suo stesso livello, e che il ragionamento di una donna non potesse essere tanto elevato da essere considerato un insegnamento. La invita quindi a dedicare la propria verginità al suo dio, come le prime martiri. Cirillo completa l’opera nel 415 d.C. Dopo una dura lotta politica per continuare ad insegnare, un gruppo di Monaci Parabolani, o monaci guerrieri, le tese un agguato; questo gruppo di fanatici cristiani la sorprese mentre faceva ritorno a casa e, dopo averla tirata giù dal carro che guidava, la trascinò e la condusse nella nuova chiesa di Alessandria. Lì furono strappate a Ipazia tutte le vesti e la donna venne letteralmente fatta a pezzi.

Secondo alcune fonti contrastanti, la fecero a pezzi con cocci di vasi (o conchiglie secondo altre tradizioni) e per alcun storici i suoi resti vennero sparpagliati per la città come monito per tutte le donne che avessero in futuro cercato di eguagliare gli uomini. Secondo altri storici i suoi resti vennero portati al Cinereo, la fornace pubblica, dove vennero bruciati perché di lei non potesse rimanere che il ricordo, destinato, secondo Cirillo, a perdersi nel tempo, sovrastato dalla potenza della parola di Dio.


Pare comunque che una delle discipline in cui Ipazia seppe distinguersi di più fosse l'astronomia. Arrivò a formulare anche ipotesi sul movimento della Terra, ed è molto probabile che cercò di superare la teoria tolemaica secondo la quale la Terra era al centro dell’universo.

Ipazia viene ricordata anche come inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, strumento con il quale si può misurare il diverso peso specifico dei liquidi. In filosofia aderì alla scuola neoplatonica, anche se secondo le fonti storiche lo fece in modo originale ed eclettico, e non si convertì mai al cristianesimo (uno degli elementi che la condannò a morte). Il suo nome è tornato famoso durante l’Illuminismo, quando molti autori hanno iniziato a ricordarne la sua libertà di pensiero e l’alto livello a cui erano giunti i suoi studi. Da allora viene ricordata come un simbolo della libertà di pensiero e dell’indipendenza della donna, oltre che come martire del paganesimo e in generale del dogmatismo fondamentalista.

Al suo nome è dedicato il Centro Internazionale Donne e Scienza, creato nel 2004 dall’UNESCO a Torino per sostenere lo studio, la ricerca e la formazione in particolare delle donne scienziate del Mediterraneo.

La religione cristiana in espansione non accettava che la donna potesse avere ruoli importanti nella società, men che meno una posizione libera come quella sua, capace di aprire le menti e di non inchinarsi a nessun dogma. Inoltre in un clima in cui si imponeva alle donne di girare con velo e di restare chiuse in casa in posizione di subordinazione all’uomo, non poteva essere accettato che una donna formulasse ipotesi sul funzionamento del cosmo intero.

Su Ipazia sono stati scritti molti libri e nel 2009 è stato girato un film-colossal del regista spagnolo Alejandro Amenábar, “Agorà”. Dopo pressioni da parte di gruppi di cittadini sui social network (oltre 10mila firme) e da parte del giornale La Stampa, il film è finalmente uscito a fine 2010 anche in Italia. In un primo momento infatti nessuno si era voluto prendere carico della sua distribuzione nei cinema. Fatto che alcuni hanno interpretato come una resistenza ad accettare la rappresentazione di un’immagine negativa della religione cristiana, che purtroppo in quegli anni (e pure nei secoli a venire), motivò crociate contro il sapere e contro la libertà di pensiero.



Una storia, quella di Ipazia, che dovrebbe far riflettere su come i dogmi in generale, di tipo religioso ma anche ideologico, siano stati troppe volte nella storia nemici della libertà di pensiero e della sete di conoscenza del genere umano, oltre che fonte di assurde discriminazioni del genere femminile.




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