PERDITA E LUTTO



All’improvviso il silenzio fu rotto dal suono del telefono.
Nel mio dormiveglia quel suono apparve molto confuso,
tanto da non essere decifrato completamente. Era un venerdì,
ma non un venerdì qualunque; era il venerdì che anticipava
i bagordi del ferragosto. Ebbene, quel venerdì 12
agosto, ero stanchissima e andai a letto alle nove e mezza,
crollando come un sasso.
Per me, che ero andata a dormire così presto, quella telefonata
sembrava arrivata nel cuore della notte, mentre
erano soltanto da poco passate le undici; tutti sanno che
non c’è da aspettarsi niente di buono da quel tipo di chiamate,
quelle che giungono ad orari inopportuni. Per non
parlare delle sensazioni più funeste che sono capaci di evocare;
aggiungiamoci anche che per natura sono oltretutto
tendenzialmente ansiosa. Bingo!!!
Inspiegabilmente infatti il mio stomaco all’unisono con il
mio intestino, sembrava aggrovigliarsi e più mi avvicinavo
a Sergio, che era andato a rispondere, più il groviglio si intensificava,
chiamando a partecipare alla danza anche fegato,
pancreas e reni. Un subbuglio nelle viscere insomma.
Ascoltando parte della conversazione e scrutando il suo viso,
percepii tutta l’ondata di dolore che si stava per abbattere
su tutti noi.
– Fortunato, che è successo? Dimmi… allora… ho capito…
A quelle parole la mia mente cercò di reagire, ma ormai
aveva compreso tutto; mi si era offuscato tutto innanzi, come
se fosse sceso davanti ai miei occhi il più denso banco di
nebbia che si possa immaginare. Lei, la mia mente, sapeva
bene quanto lui stesse male e aveva preventivato ogni cosa.
Ma il cuore no, lui proprio no. Pianto, singhiozzi; non riuscivo
a fermarmi, né tanto meno riuscivo a proferire parola: si
erano strozzate tutte nella mia gola.
– Genny…, Genny…, Genny…
Riuscivo solo a sillabare il suo nome. Sergio mi strinse
forte, in un abbraccio che sembrava una tenaglia; non cercava
solo di dare conforto a me, ma di scaricare anche la
sua rabbia e il suo dolore, che cercava prepotentemente di
trattenere a causa mia, perché voleva essere forte per me,
affinché potesse essermi di sostegno e di conforto. Io però lo
sentivo come stava soffrendo anche lui; lo percepii dal suo
abbraccio affettuoso ma pieno di rabbia. Razionalmente capii
che dovevo vomitare tutto, come quando uno sta male di
stomaco, ma sa che quella è l’unica soluzione per sentirsi
un po’ meglio, anche se è molto fastidiosa. Dovevo riuscire a
parlare, a pronunciare qualche parola, in particolare quella
odiosa parola che inizia con la emme; dovevo dirlo per convincermi
che fosse reale, che fosse successo davvero, perché
una parte di me era ancora incredula, o semplicemente non
poteva e non voleva crederci. Era così, non ci volevo assolutamente
credere! Magari in quel modo non sarebbe stato
reale. Così, di istinto decisi di chiamare quella che credevo
fosse una mia buona amica; ora so che non lo era, o per lo
meno non abbastanza quanto io volessi e credessi, ma alla
quale comunque continuerò a volere un gran bene, come in
quel momento, altrimenti non avrei deciso di chiamare proprio
lei. Sergio voleva fermarmi, giudicava il gesto avventato
e inopportuno, forse sapendo che avrei avuto postuma
l’ennesima delusione per il mio carattere troppo spontaneo
e fiducioso; ma io ero troppa sconvolta e avevo già inviato la
chiamata dal cellulare.
– Pronto…
– Sono Cinzia, ti devo dire una cosa; scusami se ti chiamo
a quest’ora ma avevo bisogno di dirlo a qualcuno… – Il tutto
tra lacrime e singhiozzi tali da rendere appena comprensibile
la conversazione.
– Cosa è successo? Calmati tesoro… Dimmi…
– Mio fratello – Balbettando quasi – È… è… mor… to…
La mia amica rimase sconvolta e incredula, non seppe
dirmi altro che frasi di circostanza, ma del resto in quei
momenti non esistono parole adatte, ma aveva inteso che il
suo compito principale, che in quel momento le veniva richiesto
era quello di ascoltare. Le sue prime parole furono
di cordoglio e anche consolatorie nei miei confronti, quasi
mi volesse coccolare.
– Mi dispiace tantissimo, sii forte; ti voglio bene!
E sempre tra lacrime e singhiozzi, parlammo dei miei poveri
nipoti, che sarebbero dovuti crescere senza un padre;
lei, tra le altre cose, era stata anche la maestra della figlia
più piccola di mio fratello, Anna. Se sono rimasta delusa
nei confronti di questa mia amica, è perché mi aspettavo
che mi richiamasse in seguito per sincerarsi del mio stato e
per conoscere meglio i tristi avvenimenti che quella sera
non fui in grado di esporle; invece, quella fu l’ultima volta
che ci sentimmo. Devo averla sconvolta sul serio, per suscitare
una simile non-reazione. Ma col tempo ho imparato a
sorvolare sulle aspettative disattese delle altre persone;
anzi bisognerebbe vivere senza aspettative, su niente e su
nessuno. A volte non dovremmo nemmeno a noi stessi richiedere
tanto. Adesso, ringrazio solo di avere avuto una
persona da chiamare, su cui riversare la mia sofferenza, il
resto bisogna prenderlo con filosofia e magari capire che
quella persona o non era all’altezza, o semplicemente non
se la sentiva di conformarsi al comportamento richiestole.
Accettare gli altri anche nelle loro mancanze, magari pensando
che vi possiamo incappare anche noi in comportamenti
per altri sgradevoli, è un limite umano.

estratto dal mio primo romanzo "Mai via da te" http://www.montedit.it/scheda-libro,2784/
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