Oggi
voglio parlarvi, senza alcuna pretesa, di certo non sono un critico letterario,
ma come semplice ammiratrice, di una delle mie poetesse preferite, Emily
Dickinson, che morì a causa di una nefrite proprio il 15 maggio del 1886
all’età di 55 anni.
Nacque
il 10 dicembre 1830 ad Amherst (Massachusetts), Emily Elizabeth Dickinson,
considerata
la più grande poetessa americana.
Secondogenita
di Edward Dickinson, stimato avvocato destinato a diventare deputato del
Congresso, e di Emily Norcross, donna dalla personalità fragile, ricevette
dalla famiglia un'educazione piuttosto libera e completa per la sua epoca.
Sin da
bambina mostra uno spirito ribelle e ostile nei confronti degli insegnamenti
puritani che le vengono imposti dalla famiglia.
Dal
1840 al 1947 frequenta la Amherst Academy e successivamente si iscrive alle
scuole superiori di South Hadley da cui viene ritirata dal padre dopo un anno, preoccupato
del potere deleterio che possa avere sulla figlia la conoscenza. La stessa Emily
abbandona ben volentieri anche il seminario femminile di Mount Holyoke dove era
stata iscritta, dopo aver commesso l’atto “eversivo” di non dichiararsi
pubblicamente cristiana, manifestando un carattere contraddittorio e complesso,
venato da una fierezza irriducibile.
Dalle
sue compagne di scuola veniva descritta come una ragazza timida, ma
giocherellona, non particolarmente bella, ma attraente e curata nel vestirsi.
Continua
i suoi studi da autodidatta e, prima di dedicarsi alla poesia, ama trascorrere
il tempo libero scrivendo lettere agli amici. Durante la giovinezza conduce una
discreta vita sociale, ma non si sposerà mai, nonostante alcune storie d’amore
irrompano nella sua vita senza però essere completamente vissute. Dopo i
venticinque anni si ritira a vita solitaria e comincia a dedicarsi con passione
alla poesia, vista come un cammino di crescita spirituale verso l’intima
conoscenza di sé e per meglio penetrare il senso della vita.
In
lei, è proprio questo bisogno sempre presente di solitudine, quasi un isolamento
dal mondo per potersi raccogliere, che contraddistinguerà tutta la sua vita e
la sua poesia.
Bisogno
non riconducibile sembrerebbe a motivi familiari, perché Emily amava suo padre,
che nelle sue lettere descrive sì come un uomo severo, ma anche tenero e affettuoso
con lei.
Le
caratteristiche della sua produzione poetica sembrano essere proprio un’estrema
riservatezza e una fantasia enigmatica, in un miscuglio di intelletto, emozione
e sensualità.
Nei
suoi studi come autodidatta, la segue anche un assistente del padre, Benjamin
Newton, con il quale resterà in seguito in corrispondenza. Scrivere lettere
sarà un'attività fondamentale per la poetessa, un modo intimo per entrare in
contatto coni il mondo: non a caso molte delle sue poesie verranno allegate ad
esse.
Nel
1852 conosce Susan Gilbert, con la quale stringe un forte legame, testimoniato anch’esso
da importanti lettere.
Nel
corso degli anni successivi compie qualche raro viaggio. Incontra il reverendo
Charles Wadsworth, un uomo sposato, del quale (a quanto pare) si innamorerà
vanamente.
Forse
questo fu l’amore infelice che le procurò un’esperienza tanto dolorosa da
incoraggiare ulteriormente quella sua tendenza verso la solitudine e il
silenzio.
La
poetessa entra in amicizia con Samuel Bowles, direttore dello "Springfield
Daily Republican" giornale su cui appariranno (a partire dal 1861) alcune
sue poesie. Conosce anche Kate Anton Scott. Sia con Bowles sia con quest'ultima
stabilisce un profondo rapporto, personale ed epistolare, come d'abitudine per
la sensibile Emily. La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita
culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all'intelligenza della
poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i propri
versi in fascicoletti.
Il
1860 è l'anno del furore poetico e sentimentale. Compone qualcosa come circa
quattrocento liriche e si strugge vanamente per un amore che gli storici della
letteratura identificano con Bowles. Nello stesso anno avvia una corrispondenza
con il colonnello-scrittore Thomas W. Higginson, a cui si affida per un
giudizio letterario: egli rimarrà impressionato dall'eccezionalità dello
spirito, dell'intelligenza e del genio della poetessa, pur ritenendo
"impubblicabili" le sue opere. D'altronde ella non intese mai dare
alle stampe i propri versi.
Higginson
giudicava la poesia della Dickinson sfuggente, a volte incomprensibile,
tormentata e rivoluzionaria, ma anche originale e fuori dai canoni della
tradizione; spesso la rimproverava di essere troppo caparbia e ribelle.
Tra
il 1864 e il 1865 Emily Dickinson trascorre alcuni mesi a Cambridge,
Massachusetts, ospite delle cugine Norcross, per curare una malattia agli
occhi. La tendenza ad autorecludersi si acuisce sempre di più, diminuendo i
contatti umani, soprattutto quelli meramente superficiali.
Mantiene
invece viva la corrispondenza con amici ed estimatori, divenendo sempre più
esigente e cercando, a un tempo, intensità ed essenzialità.
Nel
1870 riceve la prima visita, molto attesa, di Higginson, che tornerà a trovarla
nel 1873.
A
partire dall'anno successivo inizia un periodo durissimo. Vede infatti
scomparire nel giro di pochi anni prima il padre, poi l'amato Bowles (nello
stesso periodo in cui la madre aveva fra l'altro sviluppato una grave
malattia). Fortunatamente sembra che verso la fine del 1879 (l'anno prima era
appunto morto Bowles), Emily si riprenda grazie ad un nuovo amore, quello per
Otis Lord, un anziano giudice, vedovo, amico del padre, anche se molte
perplessità rimangono sulla loro misteriosa relazione, frutto più di
ricostruzioni e congetture.
La
catena delle tragedie riprende: muoiono la madre (1882), l'amatissimo nipotino
Gilbert (1883) ed il giudice Lord (1884).
Emily
è prostrata. Nel 1885 si ammala; muore il 15 maggio 1886 nella casa di Amherst.
Le
vere ragioni della sua lunga e ostinata segregazione sfuggono agli studiosi,
che hanno ipotizzato di tutto, dalle delusioni amorose ad invalidità fisiche,
fino a supporre tendenze lesbiche.
Alcuni
studiosi ritengono più probabilmente che la poetessa, consapevole della sua
impossibilità di instaurare una relazione positiva con il mondo, matura la
decisione di dedicarsi in solitudine a quella che lei considera quasi una
missione: scrivere poesie.
Ma
cosa importa; quello che conta è che la Dickinson mette nella sua poesia tutta
la sua esperienza personale, fatta di angosce e turbamenti.
Higginson
la descrive una reclusa per temperamento e per abitudine; forse quell’ambiente
mondano della ricca borghesia americana non dovette attirare il suo interesse.
Rifiutava
quel cammino maschilista già prestabilito di proseguire gli studi per diventare
insegnante, l’unico percorso previsto per le donne intelligenti in alternativa
al matrimonio, e compì la sua piccola rivoluzione isolandosi da una società cui
non sentiva di appartenere.
“Anni
senza mettere capo fuori dalla porta, anni in cui le passeggiate si svolgevano
nel quadrato del giardino di casa sua”, scrisse Higginson.
Rinchiusa
nella sua stanza, dove la sua esistenza solitaria viene interrotta raramente da
qualche visita di familiari e pochissimi amici. La sua corrispondenza solo con
pochi amici scelti rimase invece sempre assidua.
Poco
interessata a pubblicare le sue poesie, mostra una creatività fine a se stessa
che non sente alcuna esigenza di notorietà. Non ha bisogno di pareri esterni
per convalidare la sua identità e i valori in cui crede.
Nasconde
quasi tutte le sue poesie, ritrovate poi nella sua scrivania solo dopo la sua
morte, e trascorre la sua vita alla ricerca ostinata di risposte da un Dio
silenzioso e assente.
La
sua reclusione è stata una scelta contro la vanità e l’oppressione di una
società a lei distante e la sua priorità è stata quella di «possedere l’Arte /
dentro l’anima» donando al mondo delle liriche particolarmente suggestive.
Le
sue giornate trascorrevano tra lunghe meditazioni e ore alla scrivania a
comporre versi; la sua produzione letteraria fu davvero copiosa, infatti si
contano ben 1775 componimenti nella sua intera raccolta pubblicata dopo la sua
morte.
Lo
stile di Emily Dickinson è caratterizzato da componimenti poetici brevi e quasi
del tutto sprovvisti di punteggiatura, dall’uso di lettere maiuscole volte ad
enfatizzare alcune parole e dall’utilizzo di trattini per spezzare le frasi e
simulare il ritmo del respiro. Ne emerge, così, una produzione poetica intensa
e scevra di regole che influenzerà la lirica moderna.
Poesie
sull’amore, sull’odio, sulla morte, sulla solitudine. L’isolamento era la forza
da cui si alimentava la sua poesia, ciò che la rende ancor oggi così intensa e
passionale.
In
questa dimensione tutto diventa motivo per comporre i suoi versi; tutto ciò che
la circondava, ogni vissuto, ogni sensazione, era per Emily poesia, e meritava
di essere declinato in versi: la sua chiave di lettura del mondo.
Ma
la sua personalità più autentica resta ancora celata, forse com’era sua
intenzione.
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“A Quiet Passion” il film dedicato alla vita di Emily Dickinson |
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