CHE MISERA MANCIA!





Siete pronti per un altro viaggio nel mondo delle parole, queste sconosciute che usiamo tutti i giorni, certe più di altre, come quella che ho scelto oggi, direi parecchio usata ma a volte poco praticata.

Quante volte avete cercato spiccioli nelle vostre tasche per racimolare una magra cifretta da dare all’occorrenza al cameriere, al fattorino, al barista, ecc.; bene stavate cercando di praticare l’uso della “mancia”, ossia di quella regalia che è d’uopo fare a chi ci ha gentilmente elargito un servizio, come un ringraziamento ulteriore per averci messo impegno e dedizione in quel compito che stava assolvendo nei nostri confronti. Una specie di gratifica, molto esigua il più delle volte, ma comunque la si potrebbe definire così.



Ma ritornando alla parola mancia, ci siamo mai chiesto da cosa deriva e soprattutto perché? Non è raro usare parole o anche modi di dire senza saperne l’origine, non preoccupatevi, ma se proprio volete togliervi la curiosità continuate pure questa lettura, ne varrà la pena.

La parola deriva dal francese manche, e intuitivamente si può capire che vuol dire manica, ossia quella parte dell’abito che copre le braccia o una parte di esse.

Ma non è tutto ovviamente, perché le maniche di cui stiamo parlando, erano ricche, eleganti e talvolta sfarzose; nei secoli passati, dal Due al Seicento circa, le maniche di un vestito, non erano come le intendiamo oggi, e non soltanto negli abiti femminili, ma anche in quelli maschili.


Maniche a sboffo, a strascico, a tortiglione, a spirale; lisce, pelose, ricamate, frastagliate, di due, tre o più colori armoniosamente fusi, con perle o senza perle, intessute d’oro o d’argento, insomma immaginate voi stessi ogni esagerazione possibile.

Nel Tre e nel Quattrocento in particolare si usavano maniche a strisce sfrangiate che toccavano terra, e non avevano nulla a che fare con la stoffa dell’abito; la manica anzi era un particolare così indipendente dal resto del vestito, che questo poteva ornarsi oggi di un paio di maniche, domani di un altro.

Da questo fatto sembra sia derivato il detto “è un altro paio di maniche”, per indicare che una cosa non abbia alcuna relazione con quella detta prima.

Tanta importanza si dava dunque in quei secoli alle maniche, ed erano fatte di stoffe così preziose e di taglio così originale, e per di più rispecchiavano tanto il gusto e la personalità di chi le portava, che le belle dame dell’epoca crearono un uso singolare; regalavano, durante i tornei, al cavaliere del cuore o particolarmente ammirato, una delle maniche del proprio vestito, scelta tra le più belle, come pegno d’amore o augurio di vittoria. Il cavaliere che ne era stato omaggiato, se la legava alla spalla, sull’acciaio della corazza, per portarla come una bandiera che avrebbe volteggiato durante tutte le peripezie della gara. Queste maniche furono chiamate manches honorables, “maniche d’onore”.



Il termine francese trasferitosi in Italia, fu tradotto a orecchio in mancia, assumendo il significato generico di dono, regalo; fino a diventare un dono sì, ma di bassa categoria, un regaletto da nulla, in denaro, dato per cortesia e per generosità.

Il termine propriamente francese invece, è entrato nel linguaggio sportivo, per indicare un tempo, un turno, una ripresa, in cui si dividono talune gare sportive; come ha fatto una manica, perché letteralmente sempre di quello si tratta, a finire nello sport?



Il termine fu usato in questo senso per la prima volta nei giochi di carte, per indicare la singola partita; per rispondere all’interrogativo bisogna per l’appunto risalire all’antico fatto, di cui si è detto prima, che certi abiti avevano ciascuno più maniche, attaccabili per mezzo di ganci e sostituibili a piacere. Manche quindi, in questo caso finì con l’assumere il significato di “ciascun elemento della medesima serie”.



Dai giochi di carte, manche ha fatto presto a passare nei giochi sportivi; e voi nella competizione della vita, quante manche avete vinto?

Per me l’importante resta partecipare, con impegno, dedizione, passione, generosità…e una buona dose di onestà sempre.

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