STORIE DI MARE E DI SIRENE




In ogni luogo alberga una leggenda, e in ogni posto di mare che si rispetti, molto spesso la protagonista di questa leggenda è una sirena.

Ma chi è costei?

Una sirena è una creatura leggendaria, per l’appunto, acquatica, con l'aspetto di donna nella parte superiore del corpo e di pesce in quella inferiore, che appare principalmente nel folclore europeo, ma che trova comunque figure affini anche in altre culture.

Alt, un momento; piccola precisazione. Non è stato sempre così.

Tale sirena del folclore e della letteratura fantasy odierna, è forse comparsa a causa di uno slittamento semantico occorso nel Medioevo, e si discosta totalmente dalle sirene divine della mitologia e della religione greca, iconograficamente rappresentate con l'aspetto di donna nella parte superiore del corpo e di uccello in quella inferiore, a cui dobbiamo l'origine stesso del termine.

Le sirene sono convenzionalmente raffigurate come belle ragazze dai lunghi capelli dorati e chiome fluenti, con una lunga coda di pesce al posto delle gambe. A volte sono associate ad eventi pericolosi come tempeste e annegamenti, mentre in altre tradizioni popolari (o talvolta all'interno della stessa tradizione), sono creature gentili e benevole, che offrono doni o si innamorano di esseri umani.

La sirenomelia, conosciuta anche con il nome di sindrome della sirena, è una rara malformazione congenita nella quale gli arti inferiori sono fusi insieme, assumendo così le sembianze della coda di pesce di una sirena.

Nel XVI secolo, le sirene venivano comunemente raffigurate mentre tenevano in mano uno specchio e un pettine. Secondo le credenze dell'epoca lo specchio era considerato un oggetto magico: era attributo alle donne impure e serviva a contemplare il volto della morte o ad adorare il diavolo.

Spesso le navi antiche avevano sulla prua una polena (figura di legno scolpita) raffigurante una sirena, come se gli uomini di mare volessero scongiurare l'ostilità di queste creature acquatiche, attraverso questo singolare omaggio. A metà del XIX secolo, la sirena divenne la polena più comune, venendo usata come talismano contro le tempeste.

In ambito artistico e in araldica, l'equivalente maschile della sirena è il tritone.



Gli antichi nordici dicevano che appena fuori dall'acqua, le sirene potevano diventare donne, ma appena ritornavano in acqua, ridiventavano sirene. Secondo loro, le sirene avrebbero dei capelli lunghissimi e di colori strani, per farli confondere con le alghe. Dai capelli uscirebbero brillanti, gemme, perle e pietre preziose. Tutte le sirene avrebbero denti umani, ma dietro di essi avrebbero anche una o due file di denti aguzzi e sottili, che usano per intrappolare e masticare i pesci e per tritare le alghe (ma per certe di loro servono pure per poter masticare carne di marinai). Avrebbero mani con unghie e dita palmate. È inutile dire che le sirene non portino reggiseni o vestiti - anche se spesso vengono immaginate così - perché in acqua vanno di impiccio, però amano abbellirsi con alghe o conchiglie.

In Irlanda è famosa la leggenda di Li Ban, la “sirena santa”. Li Ban, giovane figlia di un Re, si ritrovò trasformata in una sirena immortale, con la coda di salmone, a causa di un'inondazione. Dopo 300 anni dei monaci trovarono la sirena, e la battezzarono secondo il rito cristiano. Uno dei monaci le propose una scelta: vivere per altri 300 anni oppure morire per essere subito beatificata. Li Ban sacrificò la sua immortalità per salire in paradiso.

Nella mitologia scozzese Ceasg è una sirena dalla coda di salmone che, se catturata, in cambio della libertà esaudisce tre desideri (ma non era il genio della lampada di Aladino?). Tuttavia chi se ne innamora è destinato a disperdersi nelle profondità marine.

Nella St. Senara's Church, chiesa di San Senara del XII secolo, a Zennor Churchtown, Cornovaglia, si trova una delle più note rappresentazioni di una sirena, una scultura lignea in altorilievo, sul lato di una sedia, un simbolo che ha avuto diverse interpretazioni da parte dei fedeli medievali.

In Cornovaglia la figura della sirena venne utilizzata anche per illustrare le due nature di Cristo. Mentre la sirena era umana e pesce, così Gesù poteva essere nello stesso tempo umano e divino, un messaggio che avrebbe colpito gli abitanti di questa regione isolata le cui vite erano intrecciate con il mare. La leggenda locale, La leggenda della sirena di Zennor sostiene che questa figura commemora un evento reale dalla storia parrocchiale, quando il canto di un corista di nome Mathew Trewhella, avrebbe adescato una sirena a giungere a terra dalle profondità del mare. Secondo il racconto ogni domenica essa si sedeva in fondo alla chiesa, incantata dalla sua bella voce. Un giorno, non più contenendo la sua infatuazione, lo portò al piccolo ruscello che scorre ancora attraverso il centro del paese e porta in mare a Cove Pendour nelle vicinanze. Mathew Trewhella non fu mai più visto. Nelle calde serate estive, a piedi nella pittoresca insenatura ora chiamata "Mermaid Cove", si dice che si sentano i due amanti cantare felici insieme, e le loro voci passano ascoltabili attraverso il fragore delle onde che si infrangono.

Una delle leggende legate alla città di Varsavia racconta che molto tempo fa c'erano due sirene, tra loro sorelle, che nuotavano dalla loro casa negli abissi, alle sponde del Mar Baltico. Erano creature veramente molto belle anche se avevano al posto delle gambe la coda di pesce. Una delle due decise di allontanarsi nuotando verso lo stretto di Danimarca e oggi la si può ammirare seduta su uno scoglio all'ingresso del porto di Copenaghen. L'altra nuotò fino alla città costiera di Danzica e da lì continuò risalendo il fiume Vistola. Probabilmente proprio ai piedi di quella che oggi è la Città Vecchia c'è il luogo in cui uscì dall'acqua per riposarsi sulla riva sabbiosa e il posto le piacque talmente che decise di stabilirsi. I pescatori che vivevano nella zona ben presto si accorsero che quando pescavano qualcuno agitava le acque del fiume aggrovigliando le reti e liberando i pesci che vi si erano impigliati. Decisero allora di dare la caccia al colpevole e farla finita con questi danneggiamenti una volta per tutte; ma quando sentirono il canto della sirena, se ne innamorarono, rinunciando ai loro propositi. Da quel momento, la sirena ogni sera intratteneva i pescatori con le sue meravigliose canzoni, finché un giorno un ricco mercante, che passeggiava lungo la riva del fiume, posò lo sguardo sull'affascinante creatura. Subito pensò che, se l'avesse catturata, avrebbe potuto guadagnare molto denaro, esibendola alle fiere. Il mercante mise in atto velocemente il suo piano malvagio: con un trucco catturò la sirena, e la rinchiuse in una baracca di legno senza accesso all'acqua. I pianti della bella donna-pesce arrivarono a un giovane bracciante, figlio di un pescatore, che con l'aiuto di un amico una notte riuscì a liberarla. La sirena, riconoscente dell'aiuto ottenuto dagli abitanti della città, promise che, se mai fossero stati in pericolo, lei sarebbe tornata per proteggerli.

Secondo una leggenda veneta Manfredo dei Monticelli era un conte venticinquenne da tempo affetto da una grave malattia. La notte di San Giovanni egli si recò sulle sponde del lago di Lispida per togliersi la vita, ma all'improvviso una ragazza con la coda di pesce emerse dalle acque. Manfredo rimase molto affascinato dalla bella sirena e le raccontò la sua triste storia. Allora la creatura acquatica prese del fango magico e lo spalmò sul corpo di Manfredo, che improvvisamente guarì. I due si innamorarono follemente. Si dice che la notte di San Giovanni dal lago di Lispida si possa ancora udire la voce melodiosa della sirena.

In Cantabria è famosa la storia della Sirenuca, una sirena che un tempo era umana. Sua madre, stufa di essere disobbedita, le gridò: «Che Dio ti faccia diventare un pesce!», e così la ragazza venne trasformata in una sirena. Da allora la Sirenuca, con il suo canto melodioso, avverte i marinai se sono troppo vicini alle scogliere.

In alcuni racconti antichi provenienti dalla Cina, le lacrime delle sirene si trasformano in perle preziose.

Un racconto di origine messicana, narrato nel sud del Texas, parla di una giovane ragazza disubbidiente trasformata in sirena. Si tratta di un racconto usato come strumento educativo, passato di madre in figlia.

Sirene e Tritoni sono figure molto popolari nel folclore filippino, dove sono localmente noti rispettivamente come Sirena e Siyokoy. Dugonghi, tartarughe marine e piccoli cetacei come i delfini, accompagnano solitamente la Sirena filippina.

Mami Wata è una sirena con poteri magici, venerata in molti paesi africani, nei Carabi, in Brasile e anche in Europa. Secondo i suoi adepti, vive in una bellissima città situata nel fondo del mare, ma accettare il suo invito ad abitare la città, significa accettare di abbandonare la propria vita e venire trascinati per sempre negli abissi dell'oceano.

La leggenda di Skuma (o Schiuma); anche alle sirene Tarantine piaceva sedurre i naviganti con canti e guizzi di pinna, ma la loro storia non ha nulla a che vedere con Circe, Itaca e i tappi per le orecchie.

Taranto, essendo bagnata da due mari, divenne meta prediletta dalle sirene che decisero di risiedervi in mondo stabile e di costruirvi il loro castello incantato.

All’epoca dei fatti, viveva in città una coppia di giovani sposi. Lei, una bellezza straordinaria. Lui, un prestante pescatore.

Proprio a causa del suo mestiere, il marito stava lontano da casa dall’alba al tramonto, se non per giorni e giorni.

Un ricco signore tarantino cominciò a provare un vivo interesse per la sposa solitaria e approfittò dell’assenza del pescatore per corteggiarla e farle regali costosi. Un giorno riuscì a sedurla.

La donna, in preda al rimorso, confessò tutto al marito quando rientrò a casa dal lavoro. Questi, l’indomani, condusse la bella moglie in barca e, non appena furono in alto mare, la spinse in acqua facendola affondare (non sapeva nuotare).

Le sirene arrivarono in soccorso della ragazza appena in tempo e, affascinate dalla sua incredibile bellezza, la incoronarono loro regina col nome di Ariel di Schiuma (Skuma in gergo tarantino) perchè era stata portata dalle onde.

Nel frattempo, il pescatore si pentì del gesto compiuto e, credendola morta, tornò ogni giorno nel punto in cui l’aveva vista annegare a piangere amare lacrime.

Le sirene si incuriosirono per il suo comportamento e, decise ad impadronirsi della barca, lo fecero cadere in acqua. Lo condussero al castello incantato, Skuma lo riconobbe e pregò le sue nuove amiche di risparmiargli la vita.

Quando il pescatore si risvegliò a riva, ricordò quel che era accaduto e capì che nulla era più importante che ricongiungersi alla sua sposa. Una fata gli rivelò come liberare l’amata: raccogliere l’unico fiore di corallo bianco dal giardino delle sirene.

Il giorno seguente, si procurò un’altra barca e in mezzo al mare si mise a urlare a squarciagola il nome della moglie. Skuma fuggì dal castello e raggiunse il pescatore, riabbracciandolo calorosamente. Prima di lasciarla tornare dalle sirene, il pescatore riferì alla moglie che l’unico modo per liberarla una volta per tutte era impadronirsi del fiore di corallo bianco e consegnarlo alla fata. Skuma elaborò un piano diabolico e il marito fu pronto ad obbedirle alla lettera il giorno seguente.

Usò tutti i loro risparmi per comprare bellissimi gioielli, li mise in barca e si addentrò nel golfo di Taranto. Le sirene lasciarono incustodito il castello perché ingolosite da gemme e pietre preziose.

Skuma poté così agire indisturbata, rubare il fiore di corallo e portarlo alla fata che attendeva sulla spiaggia.

La fata agitò la sua bacchetta e sollevò un’enorme onda che trascinò via le sirene dal golfo di Taranto, mentre Skuma e il pescatore si risvegliarono, l’uno accanto all’altra, in riva al mare. Di nuovo uniti ritornarono insieme a casa.

Una versione alternativa a questo finale della leggenda , vuole che il giovane pescatore venga trascinato via dall’onda insieme con le sirene, mentre Skuma, rimasta sola, decise di indossare l’abito monastico.

La tradizione popolare vuole che, da quel giorno, nelle notti di plenilunio, Skuma, vestita da monaca, si aggiri per il Golfo di Taranto sperando nel ritorno dell’amato. Da questa leggenda, deriverebbe, inoltre, il nome di una delle Torri abbattute del Castello Aragonese, quella detta, appunto, Torre della Monacella.


Nella mitologia ellenica le Sirene sono figlie del dio dei fiumi Acheloo nate dalle gocce di sangue che usciva dalle ferite provocate da Ercole (o Eracle) quando gli spezzò il corno. Come ho spiegato prima, il loro aspetto era completamente diverso da come ci viene presentato ora in tanti libri di miti e leggende.

Le Sirene erano infatti per meta donna e per metà uccello e non come ci si aspetterebbe per metà donna e metà pesce.

Con tutta probabilità la trasformazione della Sirena da donna-uccello a donna-pesce avvenne nel corso del II secolo d.C. Ritornando ai motivi di questa mutazione sono presumibilmente due.

Il primo motivo può derivare dal fatto che un amanuense del tempo, in qualche bestiario, sbagliò a scrivere la parola latina “pennis” scrivendo invece “pinnis” che significa pinna. Un altro motivo potrebbe derivare dalla diffusione del Cristianesimo che vedeva queste creature come esseri del male.

Dato che solo gli angeli potevano avere attributi quali le ali, si decise di cambiarle in pinne.

Le Sirene furono per molti secoli considerate create del maligno, malvagie e simbolo di perdizione. Solo con Omero la loro figura venne nobilitata arrivando ad essere creature caritatevoli e accompagnatrici di anime nel mondo dell’Aldilà.

Dopo il periodo “buio” del Cristianesimo, considerate di nuovo ad esseri del male, le Sirene, con la favola di Andersen ritrovarono di nuovo la fama di esseri compassionevoli e simbolo dell’amore tragico.

L'origine delle sirene è antichissima. Il loro nome deriva dal greco antico Seirenes (da seirà, laccio, oppure da seirios, bruciante). Ercole staccò il corno ad Acheloo, un dio con corna e con coda di serpente. Dalla ferita caddero dodici gocce di sangue e da quelle gocce vennero fuori le prime sirene: Aglaofeme, Aglaope, Leucosia, Ligea, Molpe, Partenope, Pisinoe, Raidne, Teles, Telesepeia, Telsiope. Quando naquero non erano quindi donne-pesce, ma donne-ucello. I greci le descrivevano come immensi uccelli con testa di donna.

Tra queste prime sirene, ce n’è una a me cara, Partenope. La Leggenda della Sirena Partenope, è narrata da Omero nel XII canto dell’Odissea: Ulisse, noto per la sua curiosità, volle ascoltare a tutti i costi il canto delle sirene, le quali attraevano i navigatori con le loro voci angeliche e melodiose, per poi ucciderli, Avvisato dalla maga Circe, l’uomo prese delle precauzioni: ordinò ai suoi uomini di mettere tappi di cera all’orecchio e si legò all’albero maestro della sua nave vietando ai suoi uomini di slegarlo. L’idea sortì i suoi effetti, Ulisse non cadde preda delle dolci creature marine. Le sirene ci rimasero molto male e per la delusione si suicidarono schiantandosi sugli scogli. La sirena Partenope, fu portata dalle correnti marine proprio tra gli scogli di Megaride (dove oggi sorge Castel dell ’Ovo). Lì fu trovata da dei pescatori che la venerarono come una dea, una volta approdato sull’isolotto, il corpo della sirena si dissolse trasformandosi nella morfologia del paesaggio partenopeo, il cui capo è appoggiato ad oriente, sull’altura di Capodimonte ed il piede, ad occidente, verso il promontorio di Posillipo. Così divenne la protettrice del luogo e diede il nome a quel piccolo villaggio. Da allora, come per “incanto”, la città, pur a distanza di secoli continua ad essere chiamata “città partenopea” e la bella Sirena ne è il simbolo, le è anche stata dedicata una Fontana a Piazza Sannazzaro.

Tra le sirene malvage troviamo Orejona; Orejona è una sirena con caratteristiche anfibie: ha gambe da donna, ma mani palmate e branchie. Orejona è una sirena aliena, è scesa da una navicella d'oro e poi sbarcata nel lago di Titicaca. Nelle grotte marine spesso abitano delle sirene bellissime come lei ma altrettanto crudeli e spietate, infatti amano cibarsi di carne umana e tappezzano la loro grotta di teschi in cui sono rinchiuse le anime dei marinai affogati.

Le Ningyo invece sono sirene del giappone, molto timide e innocue. In Tailandia vive la Duyugun, sirena dai lunghi capelli. Esse non sono attraenti e la prima di loro si dice che fosse una bambina molto disubbidiente trasformata dagli spiriti in sirena /sembra essere una punizione ricorrente. Nel delta del fiume Niger, in Nigeria, vive Mami Wata una sirena che dà poteri magici a chi la vede.

Nel mar Rosso nuotano le Memozini. Secondo la leggenda, queste sirene sono le figlie dei soldati del faraone Ramses, annegati e sposati poi con delle sirene.

Ritornando in Italia, un’altra leggenda è quella della sirena di Procida, sì proprio “L’isola di Arturo” di Elsa Morante.

A un Vecchio pescatore era stato detto di non andare mai nell'isola di Procida, si diceva che fosse abitata da una sirena bellissima ma malvagia. Egli però sottovalutava il pericolo, perché nella sua vita si era innamorato solo una volta, quando era un fanciullo. Però il poverino, nei pressi dell'isola fatale, scopre che la sirena era proprio la ragazza di cui era innamorato da fanciullo, e non riuscì nemmeno a dirle "amore sei bellissima", che subito la sirena lo catturò.

Sotto il faro di Messina da millenni abita una sirena che si fa vedere da poche persone e appunto per questo di lei si sa poco.

Di fronte a Lecce, dovrebbe esserci il castello sottomarino della regina delle sirene, il cui immenso giardino è coltivato dai marinai annegati.



Per concludere, citerei la leggenda di Mitì, nata proprio dove abito attualmente, nelle Marche, e precisamente nel promontorio del Conero.

Si narra che in un paesino della costa anconetana vivesse una ragazza di nome Mitì, la più bella del paese, figlia di un povero pescatore. Una notte la ragazza fece un sogno molto strano: sognò l’arrivo sulla spiaggia del paese di un bellissimo giovane a bordo di una barchetta. Appena giunto a riva il giovane sorrise a Mitì chiedendole di andare con lui e diventare la sua sposa. La fanciulla non dimenticò mai questo sogno e, da quel momento, si recò tutti i giorni sulla spiaggia aspettando che il ragazzo giungesse davvero per portarla via con sé e cantando, in attesa del suo arrivo, una canzone melodiosa ma incomprensibile.



Molti giovani del paese la ascoltavano cantare e le chiedevano di diventare la loro sposa ma Mitì li rifiutava dicendo che non avrebbe sposato nessuno di loro perché non potevano competere con il promesso sposo di cui attendeva l’arrivo. I ragazzi del paese, umiliati, iniziarono a non farsi più vedere ed alcuni di loro salparono per luoghi lontani senza dare più notizie mentre Mitì continuava ad aspettare, fiduciosa.

Un giorno giunse a riva una barca con dentro un bel giovane. Credendo che fosse il ragazzo sognato, Mitì gli corse incontro dicendogli che lo aveva atteso per tantissimo tempo e finalmente lui era arrivato per sposarla. Il ragazzo rispose a Mitì che non era venuto per sposare lei ma un’altra ragazza del villaggio, sua promessa da tempo. Per il dolore Mitì cominciò a nuotare seguendo la barca dei due amanti, cantando sempre la strana canzone. Ad un certo punto la barca sparì all’orizzonte ma lei continuò a seguirla finché scomparve e di lei non si ebbe più notizia. Si narra che alcuni marinai abbiano visto, tempo dopo, una strana fanciulla dai capelli verdi molto bella e col corpo rivestito di squame e di aver udito una canzone melodiosa e ammaliante tra le onde: Mitì si era trasformata in una Sirena.

A mare che vai, sirena che trovi!


Commenti

  1. Molto interessante, grazie. Ti suggerisco una leggenda senegalese Il pescatore di Soumbedioune e la sirena ;-)

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