L’ORA LEGALE
Ci
risiamo! Stanotte ritorna l’ora legale e a noi tocca mettere mano a tutti gli
orologi di casa per spostare le lancette avanti di un’ora, o di aggiustare
comunque l’orario se trattasi di sveglia digitale o altro; meno male che
computer e smart phone ci pensano autonomamente…
Ma
che cos’è questa mania di mandare indietro due volte l’anno gli orologi avanti
e indietro di un’ora, e soprattutto da dove nasce e chi ne è il responsabile?
Come
mio solito ho voluto fare qualche semplice ricerca.
Da
Wikipedia:
“L'ora
legale è la convenzione di spostare avanti di un'ora le lancette degli orologi
di uno Stato per sfruttare meglio l'irradiazione del sole durante il periodo
estivo.
Di
converso, il termine ora solare si riferisce all'orario statale usato durante
il periodo invernale, quando esso coincide con quello del meridiano del fuso
orario di riferimento, chiamato anche «ora civile convenzionale». Si badi bene
tuttavia come tale riferimento valga a livello nazionale, dato che invece l'ora
locale sarebbe tecnicamente diversa in ogni punto del globo terrestre, in
quanto riferita alla posizione della Terra rispetto al Sole.”
Quindi
in parole povere tutto è legato a un risparmio energetico, per posticipare l’accensione
delle luci artificiali di un’ora e poi tutti a nanna; ma il risparmio limitato
alle luci servirà a molto? Non sono ben altri gli sprechi energetici che si
dovrebbe cercare di eliminare? Boh, cosa volete che vi dica, mi sto ponendo
solo dei comuni interrogativi, non mi dite che non lo avete mai fatto anche
voi.
Ritornando
alla sua origine, vi posso dire, sempre dopo aver consultato debitamente il web,
che
nelle società antiche e prima della diffusione degli orologi, l'organizzazione
delle civiltà agricole non si basava su bioritmi fissi come nelle moderne
civiltà industrializzate. I contadini, che costituivano la grande maggioranza
della popolazione, si alzavano sempre all'alba seguendone inconsciamente il
progressivo anticipo in primavera o ritardo in autunno: nell'impero romano la
cosiddetta ora prima era sempre quella che seguiva il sorgere del sole,
indipendentemente dall'istante in cui questo evento astronomico si verificasse.
Nell'età contemporanea l'espediente dell'ora legale non fa che riprodurre
almeno in parte questo antico spostamento dei bioritmi umani a seconda delle
stagioni.
Già
nel 1784, Benjamin Franklin, l'inventore del parafulmine, pubblicò un'idea sul
quotidiano francese Journal de Paris. In queste riflessioni, Franklin si poneva
l'obiettivo di risparmiare sulla spesa in candele ma, per la stravaganza delle
proposte (come mettere un cannone in ogni via, che spari un colpo per svegliare
gli abitanti), non trovarono seguito. Sostanzialmente Franklin non propose di
spostare il tempo, bensì di obbligare, esercitando varie forme di pressione
(tassazione delle persiane, razionamento candele, divieto di circolazione
notturna, ed una sveglia rumorosa all'alba), a forzare la popolazione ad alzarsi
ad orari più mattinieri. La proposta di spingere la popolazione ad alzarsi
prima modificando il riferimento orario, origina da un lavoro dell'entomologo
neozelandese George Vernon Hudson. Nel 1895, egli presentò un documento alla
Società Filosofica di Wellington, proponendo uno spostamento in avanti degli
orologi di due ore. L'idea venne ripresa pochi anni dopo, dal costruttore
britannico William Willett, e questa volta trovò terreno fertile nel quadro
delle esigenze economiche provocate dalla Prima guerra mondiale: nel 1916 la
Camera dei Comuni diede il via libera al British Summer Time, che implicava lo
spostamento delle lancette un'ora in avanti durante l'estate. Molti paesi
imitarono il Regno Unito in quanto in tempo di guerra il risparmio energetico
era una priorità.
Dunque,
ribadito lo scopo dell'ora legale che è quello di consentire un risparmio
energetico grazie al minore utilizzo dell'illuminazione elettrica, essa non può
ovviamente aumentare le ore di luce disponibili, ma solo indurre un maggior sfruttamento
delle ore di luce che sono solitamente "sprecate" a causa delle
abitudini di orario.
Resta
la disputa tra ora legale sì e ora legale no, domandandosi se il gioco, lo
stress di riabituarsi a un altro ritmo, lo spostamento dell’ora, eccetera, valga
la candela…quella a cui alludeva Benjamin Franklin naturalmente!
Ora
lasciatemi divagare; già vi ho raccontato del mio debole per il cinema, e questo
film che sto per citarvi, è un esempio di pellicola sagace e intelligente, perché
ridendo si può anche riflettere su alcuni temi che nella realtà non andrebbero
ironizzati come va bene che avvenga nel cinema. A volte infatti mi vien da
pensare che tolleriamo l’intollerabile e non tolleriamo ciò che invece non solo
è tollerabile, ma accogliibile.
Detto
ciò, volevo parlare de “L'ora legale”, un film di genere commedia del 2017,
diretto e interpretato da Salvatore Ficarra, Valentino Picone, In un paese
della Sicilia, Pietrammare, puntuale come l'ora legale, arriva il momento delle
elezioni per la scelta del nuovo sindaco. Da anni imperversa sul paese Gaetano
Patanè, lo storico sindaco del piccolo centro siciliano. Un sindaco maneggione
e pronto ad usare tutte le armi della politica per creare consenso attorno a
sé. A lui si oppone Pierpaolo Natoli, un professore cinquantenne, sceso
nell'agone politico per la prima volta, sostenuto da una lista civica e da uno
sparuto gruppo di attivisti per offrire alla figlia diciottenne, Betti,
un'alternativa in occasione del suo primo voto. I nostri due eroi Salvo e
Valentino sono schierati su fronti opposti: il furbo Salvo, manco a dirlo,
offre i suoi servigi a Patanè, dato vincente in tutti i sondaggi; mentre il
candido Valentino scende in campo a fianco dell'outsider Natoli a cui è legato,
come peraltro Salvo, da un vincolo di parentela in quanto cognato. Al di là
della rivalità, però, entrambi mirano ad ottenere un "favore" che
potrebbe cambiare la loro vita: un gazebo che permetterebbe di ampliare la
clientela, e quindi gli incassi, del piccolo chiosco di bibite posto nella
piazza principale del paese. Soffia il vento fresco e corroborante del
rinnovamento nel soleggiato paese di Pietrammare, e soffia anche nel cinema di
Ficarra e Picone, che, al quinto film, continuano sì con la loro comicità, intrecciando
però all’amarezza che in passato caratterizzava questo genere di commedia, un
certo disincanto, che progressivamente contamina una storia
"particolare" che funziona da universale. Restando Salvo il
diavoletto scaltro e dalla battuta sferzante e Valentino il ragazzo timido che
sgrana gli occhi con stupore infantile, i due palermitani si ritrovano stavolta
a deformare un po’ meno la realtà, perché la realtà, ultimamente e in misura
sempre maggiore, si è deformata da sola, e lo ha fatto con orgogliosa
consapevolezza e a volte perfino con ostentata furbizia, mettendo in pratica i
sinistri insegnamenti di almeno un ventennio di cattivi governi e sospinta
anche dagli effetti collaterali della nostra atavica e più efficace medicina:
l’arte di arrangiarsi. E di adeguarsi.
I
due sindaci si litigano il consenso di un pugno di cittadini, promettendo uno i
soliti favori, l’altro la trasparenza e l’onestà. Fra i due contendenti -
guarda un po' - ad avere la meglio è il secondo, miracolosamente sostenuto da
un popolo non più bue che per una volta dice sì alle regole: al divieto di
parcheggiare in doppia fila, alla raccolta differenziata, alla valorizzazione
del patrimonio artistico e a un mare più pulito. Quando tuttavia l'agognato
progresso si traduce nell’obbligo di pagare più tasse, di assistere impotenti
alla distruzione della propria villetta abusiva e di tornare in ufficio invece
di passare il pomeriggio al bar, ecco che i votanti illuminati gridano
all’ingiustizia, e si rendono conto che "si stava meglio quando si stava
peggio". E allora... che rivoluzione sia!
È
un’idea sorprendente quella di una comunità che sceglie l'involuzione e che
abbraccia il caos, e sorprendenti sono i personaggi di Salvo e Valentino, che
non fanno gruppo a sé, che non provocano nessuna anarchica e strampalata
rottura, aiutando anzi la causa, incuranti della parentela che li lega al
neoeletto Pierpaolo Natoli e determinati a ottenere quel sì che li aiuterebbe
nel lavoro
Il
bersaglio de “L’ora legale” è la gente, siamo noi: tutti un po’ marci come gli
zombie di una seria tv, tutti un po' furbetti del quartierino, tutti rei di una
colpa che Ficarra e Picone mettono benissimo a fuoco: lasciarsi vivere nel nome
del quieto vivere. Se andiamo avanti così, forse ci distruggeremo, infilando
una serie di Gaetano Patanè. Oppure ce la caveremo, ostinandoci a non dividere
mai l'umido dal secco.
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