Da
oggi iniziano ufficialmente le vacanze pasquali per gli studenti; ne ho preso coscienza
dal fatto che stamattina ho dovuto letteralmente buttare fuori dal letto mia figlia.
Nella
settimana santa il giovedì dà il via alle celebrazioni più solenni della Pasqua
Cristiana, e ahimè, in giro per lo stivale, anche a qualche dissennata
tradizione popolare (qualcuno magari conosce la manifestazione dei vattienti a Nocera Terinese, ma è solo
uno dei tanti riti in giro per l’Italia, che a parer mio ci catapultano
direttamente al medioevo).
Come
avviene in ogni cultura, sacro e profano si mescolano spesso, rappresentando
due facce conviventi, apparentemente contrapposte, ma in realtà complementari
nella storia di tutti i popoli.
L’unione
di tradizioni religiose e usanze popolari, che a volte derivano da
comportamenti più umani che divini.
La
sera del Giovedì Santo rappresenta simbolicamente l’ultima cena di Gesù con i
suoi discepoli consumata prima della Passione e nella liturgica si celebra con
la Messa in Coena Domini e il rito della lavanda dei piedi. I vangeli infatti
ci dicono che durante l’ultima cena Gesù, alzatosi da tavola, si tolse le
vesti, si cinse con un asciugamano e con un catino pieno d’acqua lavò i piedi
agli apostoli. Pietro, voleva quasi opporsi al gesto di Gesù, non riuscendo a
concepire che il suo Maestro facesse un tal umile gesto nei confronti di lui
che gli era inferiore, ma Gesù lo rassicurò, cercando di spiegargli il
significato profondo di unione e di carità insito in esso e indicandolo come
esempio da seguire.
Il
gesto di Gesù era inaudito perché a quei tempi era una prerogativa dei servi e degli
schiavi, che a fine giornata lavavano i piedi al loro padrone. Quindi, Gesù fa
capire agli apostoli l’importanza in quell’atto della generosità nel donarsi
verso tutti, non solo verso quelli percepiti come più importanti, ma anzi,
specialmente verso i più umili, spesso considerati inferiori.
Per
questo l’attuale Pontefice (mi piace ricordare che è il primo Papa gesuita,
sudamericano e che ha scelto il nome del santo poverello di Assisi), negli
ultimi anni ha scelto sempre senzatetto, profughi o detenuti per replicare il
messaggio profondo di quel rituale cristiano.
Una
tradizione popolare invece, che ancora oggi è vissuta in occasione del triduo
pasquale, molto più diffusa in passato forse, nasce dalla pietà e dal
sentimento comune e si colora di elementi folcloristici, secondo gli usi tipici
delle varie località; sto parlando dell’uso di visitare i cosiddetti «sepolcri»
allestiti nelle varie chiese, ovvero più propriamente gli altari o le cappelle
della reposizione dove vengono conservate le ostie consacrate.
Per
quanto riguarda il mio retaggio partenopeo, la Pasqua a Napoli è un miscuglio
di rituali religiosi ed enogastronomici. Due tradizioni del Giovedì
Santo, sono quella dello “struscio”, ossia del giro delle sette chiese (il
numero ideale, devono essere minimo tre e sempre in numero dispari) in cui
entrare e recitare le tre preghiere basilari (Padre Nostro, Ave Maria e
Gloria), percorrendo a passi lenti, quasi strisciando (di qui struscio)
l’affollatissima via Toledo, principale arteria della città, e quella
enogastronomica della zuppa di cozze, il piatto tradizionale del Giovedì Santo,
che viene consumato prima dello struscio (in cui si visitano appunto i sepolcri
di cui ho detto prima), piatto inaugurato e voluto da Ferdinando I di Borbone,
ghiotto del mitilo e a cui non volle rinunciare neanche nel periodo pasquale
facendolo cucinare in maniera più povera.
Altra
tradizione, che ho appreso dove attualmente risiedo, Jesi, è quella delle Raganelle
e della Battistagnola.
Nel
primo pomeriggio del Giovedì Santo venivano legate le campane fino al Sabato
Santo in segno di lutto.
In
sostituzione per annunciare le funzioni di carattere religioso vi erano dei
giovani che suonavano con le Raganelle e solitamente davanti a costoro c’erano
dei ragazzi più grandi con la Battistangola. La Raganella era uno strumento
idiofono costituito da una ruota dentata di legno fatta girare attraverso una
manovella, pizzica con i denti una lamella, anch’essa di legno , producendo un
caratteristico rumore simile al gracidio delle rane : da qui il nome
“Raganella”.
A
Moie, un paese vicino, si era soliti costruire la Raganella con le canne. La
stessa funzione veniva svolta dalla Battistangola, una tavoletta in legno con
impugnatura con applicati una maniglia metallica e delle borchie sulle quali la
maniglia sbatteva provocando rumore.
Chiudo
con un veloce richiamo a quello che è anche un patrimonio Unesco dell’umanità,
il Cenacolo, la più famosa rappresentazione dell'Ultima Cena,
capolavoro di Leonardo e del Rinascimento italiano in generale.
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