I
segni della damnatio memoriae che i Savoia all’indomani dell’unità d’Italia
(annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna), perpetrarono ai
danni della dinastia Borbonica sono davvero tanti; stemmi ricoperti,
toponomastica cambiata, re fatti cadere nell’oblio. Mi riferisco ai re
successivi a Carlo, che comunque viene ricordato come re di Spagna, e non come
il primo re borbonico che ridiede dignità e indipendenza al Regno delle Due
Sicilie sottraendolo dalla sfera di influenza spagnola.
I discendenti di Carlo,
da Ferdinando in poi, quelli che diedero vita al ramo dei Borbone di Napoli e
che seppero continuare quel periodo di governo lungimirante improntato all’innovazione
e alla cultura inaugurato proprio da Carlo di Borbone (non III di Spagna; ahimè,
io sono proprio originaria di quella piazza napoletana che reca nell’intitolazione
al sovrano, proprio tale numerazione), per i Savoia dovevano scomparire dalla
memoria di tutti i napoletani (come si può notare osservando i sovrani di Napoli fatti posizionare nelle nicchie della facciata del palazzo reale cittadino da casa Savoia). Ma l’arte non si distrugge cari miei, ed ecco
che dal Largo di Palazzo (Piazza del plebiscito se preferite) ergono trionfanti
le due statue equestri raffiguranti padre e figlio, Carlo e Ferdinando, in posa
e in abiti classici, in una delle più grandi piazze di Napoli, apoteosi del
Neoclassicismo, non per niente fatte eseguire da Canova, e portate a compimento
dal suo allievo Calì.
Ma
l’arte a volte si può coprire, occultare con degli artifizi, offuscare alla
vista mediante stratagemmi. Questo è il caso per me più eclatante, di cui tanti
napoletani ancora oggi non si accorgono, di come i Savoia scalzarono in ogni
modo la memoria storica di una dinastia che per la città e per tutto il regno
aveva fatto tanto bene.
Avete
presente il Real Teatro di San Carlo, la prima grande impresa artistica in cui
si imbarcò Carlo appena diventato sovrano, con esiti straordinari, sia per realizzazione
che per tempistica, perché capì che una grande corte europea, prima di una
reggia aveva bisogno del suo gran salotto, un luogo d’arte, dove potersi
intrattenere anche per altro, che accogliesse in special modo il fior fiore
della diplomazia straniera.
Teatro
che ahimè andò distrutto in un incendio successivamente, ma che il figlio e
successore di Carlo, Ferdinando, seppe far ricostruire con la stessa tenacia e
velocità di suo padre.
Quel
Teatro, simbolo nella città della grandezza e magnificenza della corte
borbonica, fu volutamente sfregiato dai Savoia; no certo, mica lo toccarono o
modificarono. La cosa non doveva apparire, doveva sfuggire, doveva essere in
una parola subdola.
I
grandi monumenti e le grandi architetture hanno bisogno di aria, del loro
spazio per poter essere ammirate, per poterne apprezzare l’intero aspetto
prospettico, nonché senz’altro la facciata principale dell’opera.
Ora io non
sono un architetto ma una semplice estimatrice dell’arte e di tutto ciò che di
bello ci circonda, ma il fatto di non poter godere della vista della facciata
del Teatro San Carlo in lontananza, mi fa un po’arrabbiare; dopo l’arrabbiatura,
rifletto, e penso, sempre non da intenditrice, che forse quella vista avrei
potuto godermela se tra il 1887 e il 1890, qualcuno non avesse fatto costruire
la Galleria Umberto I, proprio in quel punto, di fronte la facciata del
magnifico teatro della mia città, il più antico teatro lirico d’Europa.
Ripeto,
io non sono una cima in merito, ma perché costruire un monumento maestoso quasi
attaccato ad un altro? Che senso ha? Personalmente non credo di averlo
riscontrato altrove; se non ci avete mai fatto caso, rifletteteci, forse il mio
discorso non è completamente campato in aria.
Una
domanda: qualcuno si ricorda dove si trova l’altra galleria saboiarda fatta
costruire nella città di Napoli? Semplice, probabilmente di fronte a un’altra
architettura costruita durante il governo di un re Borbone… controlliamo?
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